SPIGOLO GERVASUTTI – PUNTA ALLIEVI
sabato 10, domenica 11 settembre ‘22
Alzo lo sguardo: la parete non sembra offrire molte possibilità di assicurazione, la roccia è ancora parzialmente lavata ma, soprattutto, fa un freddo cane. Ho impiegato una mezza eternità ad arrivare fin qui: lotta con l’alpe estrema su bagnato, dita insensibili e qualche piccolo pezzo di ghiaccio precipitato verso Walter. Io ero troppo concentrato per accorgermi del verglas appollaiato più in alto. Al punto dove mi trovo c’è una vecchia sosta a chiodi traballanti: potrei usarla per calarmi oppure tentare l’ignoto. Sotto Walter-bastoncino-Findus non vede l’ora di saltare nella padella calda mentre il mio lato masochista mi tenta a proseguire nonostante le colonne d’Ercole mi spaventino non poco. Guardo ancora verso l’alto e poi cedo: collego i chiodi ballerini e preparo la doppia facendomi rimbalzare a metà del secondo tiro della XXV Mario Dell’Oro dopo che Walter-salmone era risalito per le colate bagnate della prima lunghezza. Pare che questo lato di parete sia capace di regalare gelate a ripetizione: forse è proprio questo il suo biglietto d’ingresso. Eppure, nel complesso, il weekend non è andato a ramengo anzi, visto da una certa angolazione, è andato quasi bene.
Il menù del sabato mattina prevede la sfacchinata dal fondovalle e poi la chiusura dei conti col Gervasutti o, almeno, questo è ciò a cui puntiamo. E siccome sto invecchiando, non ascolto la mia indole scozzese: propongo al Walter di pagare il biglietto e così ci troviamo comodamente parcheggiati di fianco al campeggio in val di Mello. La salita al rifugio è la solita trita e ritrita corsa contro il tempo ma il posto è veramente unico, forse il meglio che la val Masino possa offrire e, diciamola tutta, qui da qualsiasi parte si vada è sempre “tanta roba”! Entriamo in Allievi coi ragazzi del rifugio che si domandano cosa diavolo ci facciamo da queste parti dopo essere stati col corso poche settimane prima, scarichiamo il materiale da bivacco (perchè un pizzico d’avventura in più ci vuole sempre anche se l’idea di dormire con gli asini al pascolo che potrebbero confondermi per un ciuffo d’erba mi lascia un po’ perplesso) e partiamo per lo spigolo. Le prime lunghezze corrono che è un piacere: sul tiro del camino, invece di infilarmi come una trivella nella roccia, provo a stare all’esterno scoprendo che da un’orripilante scalata distruggi vestiti (e non solo) si passa ad uno stile più elegante ma, soprattutto, decisamente più facile. Arrivo così alla cresta ma poi continuo verso l’alto, fino alla sosta a fix con le corde che fanno gli avversari a pallanuoto cercando in tutti i modi di farmi affogare tirandomi verso il basso. Noi proseguiamo a correre verso l’alto (col sottoscritto che su un tiro facile fa il test di allungamento delle corde) fino all’intaglio del canale, dove nel precedente tentativo avevamo gettato la spugna per poi rimpiangerla quando ci sarebbe tornata utile per asciugarci. Da ora in avanti è terreno sconosciuto, il ritmo gara cala e iniziamo ad arenarci un po’. Walter però è una locomotiva inarrestabile: continua imperterrito a scalare metro su metro mentre le lunghezze fanno il countdown come prima della partenza dello Shuttle. Sono tentato di congiungerne un paio ma sarei prossimo al limite umano: riuscirà la mia mente a reggere un simile peso psicologico? E poi le corde non potrebbero fare effetto ancora? Alla fine decido che la soluzione migliore sia sostare e lasciare le beghe al Walter che tanto lui si diverte e io evito lo sbattimento. Ancora una breve corsetta e poi il Walter si becca (questa volta fa lui il volontario) l’ultimo tiro impegnativo per poi poi lasciarmi l’onore di tirare le corde fino alla cima mettendo una X su questa linea. Così ci togliamo il sassolino della ripetizione (quasi) in giornata ma per l’indomani i programmi prevedono il piatto forte, quella che sarà l’esperienza nel congelatore della parete est della punta Allievi, unico punto in tutta la vallata dove le nuvole stazioneranno come i Testimoni di Geova davanti la porta.
Cavallo Goloso
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sabato 24 luglio ’21
Non sempre le ciambelle escono col buco e a volte che qualcosa possa andare storto, lo si vede fin dall’inizio ma questo non significa che alla fine non siano buone. Già in principio i presupposti per completare la raccolta di bollini non poggiavano su solide basi: avevo proposto al Walter di provare a chiudere i conti con la Vinci al Ligoncio o con la Osio Canali ma, nel primo caso, il rischio di fare Benjamin Franklin in parete sarebbe stato troppo alto, nel secondo invece avremmo certamente finito per fare raftnig in val Torrone e così alla fine optiamo per il Gervasutti. L’idea è che attaccando il prima possibile una via ripetuta e avendo comunque la possibilità di calarci fino ad un terzo dello spigolo o eventualmente di scappare per un canale ai due terzi, dovremmo riuscire a scamparla. Quindi i piani sulla carta sono quasi perfetti ma l’odore di bruciato inizia a sentirsi già con le 2 ore e mezza per raggiungere San Martino. Così alla fine optiamo per cenare al parcheggio solo che, sarà perchè non abbiamo alle spalle una giornata di caianesimo extreme, il risotto non ha il gusto delle altre volte: è una pietanza quasi mono corde, cui manca un po’ di verve, un po’ come sarà per i colori dell’indomani, una scala di grigi che vira dal chiaro allo scuro della morte certa ma nulla di più; se vogliamo, sarà la tavolozza del novembre milanese. Così, col riso e i gamberetti che navigano nello stomaco, affrontiamo la passeggiata all’imbrunire e poi al chiaro di luna con il solo vantaggio di non sudare eccessivamente perchè, per il resto, questo genere di avvicinamento è sempre una mazzata. E poi arriva il bivacco, il primo da un paio di anni: sono emozionato quasi come uno scolaretto al primo giorno di scuola ma non mi ci vuole granchè perchè la segheria inizi a tagliare legna per il caminetto.
Quando la sveglia suona, il mondo che ci circonda è per lo più ammantato di grigio: proviamo a poltrire per qualche minuto perchè sgusciare dal bozzolo del sacco a pelo per sprofondare nella fredda umidità da acquario non è tra le priorità ma poi l’aquila batte nel petto e alla fine spicca il volo e a noi tocca sgusciare all’aperto e iniziare ciò che siamo venuti a fare. Finisce così che verso le 6:30 il Walter attacca il primo tiro: la corda corre su per la parete senza aver alcuna intenzione apparente di fermarsi. Che l’amico voglia finire la via in un’unica lunghezza? Poi alla fine arriva il comando e io inizio a seguire i serpenti colorati: per dirla alla francese, mi sento un po’ rincoglionito ma, cerco di autoconvincermi che sia per la sveglia antidiluviana e intanto supero una sosta e poi un’altra mentre il Walter è su che se la ride. La coperta grigia intanto si è allargata e ora anche noi ci navighiamo dentro. È il mio turno e lo stato di rincoglimento non cambia: possibile che non sia più avvezzo a raccogliere bollini? Ma forse è solo l’ennesima prova del Caianesimo perchè alla quarta lunghezza, dopo un improbabile incastro di chiappe e (finalmente!) aver usato un chiodo come appoggio, torno definitivamente in forma e tutto inizia a girare come dev’essere, meteo compreso. Come vogliono infatti i Padri Fondatori, una vera caianata non può che concludersi tra fulmini e saette e così verso la Gianetti si preparano fuochi ed artifici e, quando siamo ad una lunghezza dalla sezione facile, il concerto inizia ben prima di quando le previsioni avessero promesso. Il Walter sale lungo il tiro mentre una leggera pioggerellina inizia a bagnare la parete rendendo tutto viscido ma, d’altra parte, non abbiamo scelta: scendere da qui sarebbe più lento che cercare la salvezza verso l’alto anche perchè, dovessero incastrarsi le corde come sul Gran Diedro, potremmo fare la fine degli spiedini. Così entro definitivamente in modalità Fraclimb: “porcaputtanamistocagandonellemutande!devomuovereilculo”, salgo il più velocemente possibile, scavalco la cresta e poi mi involo sulla prima parte facile con le corde che non riescono a starmi dietro costringendomi a tirarle come avessi un branco di rinoceronti che tira dalla parte opposta. Alla fine il tiro alla fune lo vinco io, recupero il Walter e lui va verso l’imbocco del canale. Lo scolo è un ricettacolo di pietre che si tuffano su una serie di placche appoggiate: se dovesse mettersi a piovere, potremmo essere caduti dalla padella alla brace, prima spiedini fritti e ora a rischio lapidazione, perchè “se sei brutto, ti tirano le pietre; se sei bello, ti tirano le pietre”. Scendere dal canale con una visibilità sui 15 metri è come mangiare l’uovo di Pasqua: non sai mica quello che ci trovi dentro! Così raggiungiamo una prima sosta marcia dove inizia una serie di placche. Ci guardiamo in faccia e, dovendo scegliere tra l’orrido della calata e quello della discesa su roccette, optiamo per la seconda. Poco più in basso ecco un’altra sosta sdentata con un chiodo appeso ai resti del cordino e noi optiamo ancora per la discesa a piedi. Alla fine guadagniamo gli sfasciumi alla base della parete e, solo a pochi metri dal rifugio, le cateratte non reggono più, si aprono e iniziano a svuotare il loro contenuto.
L’Allievi, appunto: quello che fino ad un paio di anni fa era il rifugio meno accogliente della val Masino dove il caiano bivaccaro (non quello impoltrito dalla bambagia) veniva fulminato con lo sguardo (e forse non solo) appena entrava nel raggio di mezzo chilometro e dove, appena messo piede, si aveva la sensazione di puzzare come l’ospite al terzo giorno, ora è tutta un’altra cosa, un posto dove ci si sente quasi a casa, un rifugio nel senso più ampio e alto del termine. Ne sfruttiamo la calda e piacevole accoglienza e poi, alla prima tregua, riprendiamo la nostra piacevole (e fortunatamente asciutta) sfacchinata fino all’auto col Gervasutti che fa Marameo: ma tanto noi non lo vediamo perchè lassù è il regno del grigio.
Cavallo Goloso
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