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MORBEGNESI (CON VARIANTE) – CENGALO

domenica 21, sabato 27 agosto ‘22


- Vieni al corso Caianum Maximum in val Masino? - La domanda non era proprio così ma il concetto era quello: avrei mai potuto rispondere di no? Già vedevo i padri fondatori del sodalizio a suonare le campane dall’alto delle sacre vette. E poi, oltre alla valanga di bollini (cosa da non disdegnare mai), si sarebbe profilata una vacanza praticamente gratis anche se col rischio di passare da una seduta psichiatrica al termine dei 5 giorni. Non da ultimo, la possibilità di scalare ancora una volta con i due Balossi (cioè la diretta concorrenza) della scuola della val Seriana perchè, come tradizione, la settimana la si fa con loro. Fin qui tutto bene, poi arriva il momento di scoprire le carte e, con la spada di Damocle per il timore di essere uscito marcio dal giro in bici scozzese, tocca trovarsi alle 5:30 solo per la scampagnata alla Gianetti e per poter passare il resto della giornata a tediarci con le manovre. Insomma, un inizio tranquillo e, di conseguenza, devo trovare il modo per farmi riconoscere come il solito fenomeno da baraccone: prima con la doppia e poi tripla colazione al bar e poi, sul sentiero per il rifugio, inseguo le scoregge del finto corridore che supera la colonna di muli (noi) carichi come una spedizione anni ‘70 in Himalaya. E poi arriva la fatidica domanda: e domani? Avrei un sassolino da togliere dalla scarpa, ci provo e mi viene dato l’occhei. Così lunedì risalgo col Marco e i due allievi bergamaschi (due cavalli) verso il Cengalo e, precisamente, la Morbegnesi. Mi ricordo dell’attacco solo perchè a vedere la parete la linea non può che passare da lì ma poi brancolo nel buio quando devo trovare la sosta: non c’è l’ombra di nulla e per di più ho finito i friend. Ottima situazione per fare la figura da cioccolataio: faccio girare le rotelle e alla fine non trovo niente di meglio che incastrare due sassi nella spaccatura e appendermici. Superiamo la placca e poi arriviamo in cengia, davanti all’enigma; la relazione pare chiara: salgo subito a sinistra dello strapiombino e nel diedrino soprastante trovo un chiodo che pare volersi staccare solo a guardarlo. Lo ribatto ma niente, quello resta a penzolare come una foglia avvizzita. Stando al Gaddi dovremmo essere sul V ma, forse, nella scala del Moon Board! Giro i tacchi perchè non ho voglia di scomodare l’elisoccorso e provo a navigare sulla cengia. A sinistra la parete sembra decisamente più abbordabile: salgo per placche e fessure finchè la corda me lo permette, preparo la sosta a friend (se non altro Sara vedrà forse qualcosa di utile) e recupero la socia di giornata. Il Marco invece resta tra coloro che sono sospesi: prova ancora più a sinistra, trova un diedro e inizia a risalirlo. Che la via passi di lì? Intanto sopra le nostre teste si alzano placche verticali e fessure: le seguo sperando mi conducano da qualche parte. La roccia non è granchè e i Padri Caiani si lisciano i baffi. Io un po’ meno: controllo lo sfintere e provo a mimare il peso di una libellula. Il mimo però non è un’attività congeniale. Intanto i friend iniziano a scarseggiare nonostante tra quelli piazzati passi parecchia aria così dopo una trentina di metri preparo la sosta. Il Marco intanto si è spiaggiato, la parete è come Gandalf contro il Balrog e beffarda gli sputa contro: “Tu non puoi passare!”. Solo che non sta facendo i conti con il nostro ingegno. Salgo brevemente, traverso su placca e poi vedo tracce umane: una sosta alla base di un facile diedro. Che sia la fatidica via dei Morbegnesi? Più tardi scoprirò che la linea invece è ancora più a destra e così sia questa che la successiva sosta restano avvolte nel mistero. Ad ogni modo, in questo momento, la cosa ha ben poca importanza. Raggiungo i chiodi marci mentre Sara cala una corda al Gigi che a sua volta la porterà al Marco e, in modo forse poco ortodosso e con una serie di passaggi tipo Fiera dell’Est, ci leveremo dagli impicci. A quel punto la parete crolla: le due lunghezze seguenti sono una passeggiata in centro, raggiungiamo la cima e da qui torniamo comodamente alla base. E il primo giorno è andato ma io mi sento piuttosto scarico così la prospettiva di andare martedì su Stella Retica col Walter calza decisamente a pennello. La realtà, tuttavia, è ben diversa da come ce la si immagina: il primo problema è evitare di saltare i fix causa annebbiamento visivo dovuto agli occhi non abituati a intercettare le luccicanti piastrine poi, poco oltre la metà della salita, le corde si fondono nella matassa nodosa tipo blocco di spaghetti attorno alla forchetta. Ma perché? Perché? 20 anni di Caianesimo e ancora non ho capito perché i canaponi prendano vita e si intreccino in una morsa mortale. In realtà il problema resta nelle mani di Elisa che fa la tessitrice indiana col cubo di Rubik a forma di palla mentre il sottoscritto resta appeso a sghisare i polpacci. Sull’ultima lunghezza (almeno secondo il Gaddi) proiettano un film del sottoscritto in veste di Icaro poi torno alla realtà, spero che il piede destro nel canalino erboso non slitti, l’estremità mi asseconda e ancora una volta mi salvo. Arriviamo quindi alle due lunghezze finali, quelle per raggiungere la vetta che altrimenti la salita non può essere convalidata. Solo che io sono troppo ancorato alla tradizione: la logica vorrebbe salire per un bel diedro camino ed io, ovviamente, la seguo. Ma così mi perdo. Torno indietro capendo l’utilità delle negative in palestra, ritrovo fix e sosta e, poco dopo, la croce di vetta.

Mercoledì è la volta di Ying e Yang con arrivo sulla Sertori perchè di andare ancora una volta in cima al Badile non ne abbiamo voglia: la scusa è che poi si fredda la cena e la pasta incollata non è una grande prospettiva. Poi arriva il giovedì, l’agognata giornata di riposo, se si può chiamare tale la traversata verso l’Allievi o, come mi invento di fare, la discesa a San Martino e la risalita con due pacchetti di bisciole al rifugio in val di Zocca con pranzetto al Gatto Rosso perchè a furia di mangiare barrette anche i miei scarti intestinali iniziano ad avere una forma a parallelepipedo!

Venerdì danno temporali verso le 16 così mi cucco lo spigolo sud del Picco Luigi Amedeo, ben altra cosa rispetto la vertigine che precipita sulla val Torrone ma la sorpresa è sempre dietro l’angolo: prima sotto le vesti di un’inaspettata quanto piacevole lepre che saltella di qua e di là tra le rocce e poi con un’esperienza mistica da altri tempi. Sono in cima alla prima lunghezza, poco sotto il filo dello spigolo e già sto osservando quello che mi aspetta quando il Gabri alza bandiera bianca schiacciato dal troppo stress col risultato che mi trovo con due allievi a proseguire per la via. Nulla di male se non che il tarlo, che lavora da qualche giorno, si sia scavato l’Alp Transit nel mio cervello e i primi segnali arrivano sulla prima lunghezza impegnativa. Lo spigolo non è docile come avrei pensato, mi tocca capire come assecondarne le asperità, spingere sui piedi e confidare nell’attrito della scarpa. Tutto sommato riesco a cavarmela e dalla sosta inizio a studiare quello che mi aspetta: una lama atletica e poi il più dovrebbe essere fatto. Dovrebbe, appunto! Lascio la sosta, un paio di movimenti e raggiungo la fessura. La tiro un po’, alzo i piedi e la supero senza grosse difficoltà: a volte forse partire con una dura aspettativa può avere i suoi lati positivi. Illuso! Sono su un ripiano: sopra c’è un muretto solcato da alcune lame verticali parallele. Le guardo: non sembra semplice ma nemmeno impossibile. Piazzo un friend giusto per non arrivare in braccia a Mattia e Sergio e poi inizio a tirare. Qualcosa però non va o, almeno, non è come dovrebbe: le fetide lame sono svase, delle ignobili prese sfuggenti. L’inculata è arrivata. Piazzo un altro friend sull’orlo del panico: la protezione fa cagare (e già sono ad un passo da una crisi da lassativo), ne piazzo un’altra e quella sembra decisamente meglio. Sotto mi chiedono se stia preparando una sosta. Riesco a trattenere un’imprecazione ma la mia voce fa lo stesso stridore delle unghie sulla lavagna. Confido nella buona tenuta del friend, tiro ancora la fessura e mi salvo sulla placca soprastante. Scampato a morte quasi certa non c’è più storia: cavalco fino alla quasi vetta perché la via termina contro il muro finale che porta in cima e che sembra un palo atomico e poi rientriamo chiudendo sani, salvi e soprattutto asciutti la settimana di Caianesimum Maximum!


Cavallo Goloso


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sabato 25 giugno ‘11


In principio era il Caianesimo e il Caianesimo era presso le Dolomiti e il Caianesimo era le Dolomiti. E il Tiraggio dei Chiodi era in principio presso le Dolomiti. Tutto fu salito per mezzo del Tiraggio dei Chiodi e senza il Tiraggio dei Chiodi nulla fu salito. Nel Tiraggio dei Chiodi era la conquista della vetta e la conquista della vetta era la luce del caiano. Ma la luce non riuscì a penetrare le tenebre e i caiani restarono nelle tenebre dove fu pianto e stridore di denti.

In principio le Dolomiti crearono la Marmolada ma la Marmolada era deserta e vuota. Poi le Dolomiti dissero: “facciamo il caiano a nostra immagine e somiglianza: domini sopra le rocce e i ghiacci dei monti, sui massi e su tutte le pareti della terra”. Le Dolomiti crearono il caiano a propria immagine, a immagine della Marmolada lo crearono. E le Dolomiti lo benedissero e gli dissero: “Scala, conquista e tira i chiodi, solca la Marmolada con le tue linee e poi tutte le pareti della terra”. Le Dolomiti dissero ancora: “Ecco, noi ti diamo ogni fessura da chiodi su tutta la superficie della Marmolada e ogni tipo di buco: questi ti serviranno per conquistare la vetta”. E così fu. E le Dolomiti videro tutto quello che avevano fatto ed ecco era molto buono. E fu sera e fu mattina e venne venerdì.

Quattro caiani avevano appuntamento per salire sulla sud della Marmolada ma il giovedì le nubi avevano coperto la parete facendovi cadere una fitta pioggia e allora i caiani, in verità succubi della fede nel Tiraggio dei Chiodi, cambiarono il loro programma puntando alla via Dalai Lama sul Cengalo. Così, mentre due caiani (Cece e Colo) raggiunsero la montagna da Lecco, gli altri (Fabio e il sottoscritto) dovettero superare il traffico della pianura grazie all’aiuto del Tiraggio dei Chiodi che aveva alzato un forte vento da nord ovest scansando tutte le auto e liberando il parcheggio dei Bagni. Poi, preso il sentiero, anche gli ultimi due caiani salirono verso la Gianetti. Ma il Tiraggio dei Chiodi non aveva placato il gelido soffio perchè voleva mettere alla prova la loro fede: le mani e le braccia erano come intorpidite e solo nel caldo sacco a pelo, sotto un cielo stellato, tornarono in condizioni normali mentre i primi due caiani, in parte succubi del Demone del Falesismo, riposavano sotto il tetto del rifugio. Ma il caianesimo lavorò nella notte trasfigurando sul torace di questi ultimi l’aquila del sodalizio che marchia le coperte di tutte le capanne. E fu sera e fu mattina e venne sabato.

E il sabato accolse i due caiani puri che avevano dormito all’aperto (Fabio e il sottoscritto) e i due caiani prima succubi del Demone del Falesismo ma poi tornati alla luce del caianesimo (Cece e Colo) con clima da lotta dell’alpe: due gradi e la prospettiva di un continuo vento da nord ovest. Ma in verità il Tiraggio dei Chiodi mostrò la sua clemenza perchè due caiani gli erano comunque stati sempre fedeli. Così il vento in parte si placò ma venne la nube ad oscurare il sole. E così fu per tutto il giorno e il Tiraggio dei Chiodi vide che era cosa buona. I caiani intagliarono gradini nella neve dura come il marmo e fu cosa gradita ai loro avi. Ma il ghiaccio copriva ancora in parte la fredda parete e i caiani ebbero paura e titubarono del Tiraggio dei Chiodi. Allora Colo si ricordò degli insegnamenti di uno tra i più grandi caiani (Mark Twight) e, incastrato un sasso in una fessura, allestì una sosta d’emergenza dischiudendo ai caiani la via verso la salvezza. Il Tiraggio dei Chiodi continuava comunque a parlare ai cuori dei caiani che ancora bramavano il raggiungimento della luce. Ma non passarono 40 minuti che il Demone del Falesismo si manifestò nuovamente ai quattro in contemplazione davanti a Don Carlos. E il Demone disse: “Se voi siete caiani, salite questa parete”. Ma i due puri gli risposero: “È detto: di soli chiodi vivrà il caiano”. Il Demone, allora, dopo averli sollevati in alto, mostrò loro in un attimo tutte le pareti della terra e disse: “Io vi farò salire tutte queste pareti se voi vi piegherete alla religione dello spit”. I puri gli risposero: “È detto: adorerai solo il chiodo e tirerai solo quello”. Ma dei caiani, due avevano il cuore in subbuglio e non riuscirono a resistere alla tentazione, bramosi com’erano di raggiungere la vetta. I quattro così si separarono: i puri verso la via Morbegnesi, gli impuri sugli spit di Don Carlos.

I caiani puri (Fabio e il sottoscritto) si incamminarono quindi verso il nuovo obiettivo finchè uno chiese all’altro: “Dove scaleremo?”. L’altro allora gridò al Tiraggio dei Chiodi che lo illuminò indicandogli la via. I due scavarono ancora gradini nella neve e gli avi videro che facevano cosa buona. Poi, finalmente, raggiunsero la roccia e l’attacco della via Morbegnesi. Ma in verità anche i puri erano stati folgorati sulla via per la salvezza cadendo anch’essi nelle tenebre quando una voce aveva detto loro: “Caiani, caiani, perchè perseguitate tutto ciò che perfora la roccia? Tirate anche i chiodi a pressione”.

Così i due salirono là dove la roccia era stata forata; tirarono i chiodi a pressione fino a raggiungere la cengia mediana della parete. Solo allora il Tiraggio dei Chiodi manifestò tutta la sua potenza e la sua collera poiché i due avevano peccato. Si alzò ancora il vento patagonico mentre la piaga nevosa bloccò la strada ai caiani. I due provarono quindi su una linea evidentemente più impegnativa di quanto dichiarato dalla bibbia del Gaddi venendo però respinti. Il Demone del Falesismo si manifestò allora per la terza volta dicendo loro: “Se voi siete caiani, salite questa parete per la via che io vi indicherò”. E così facendo, aprì i loro occhi e mostrò loro la via Carosello. Il più turbato dei caiani (il sottoscritto) portò così nelle tenebre il puro (Fabio) salendo un tiro della via a spit, allora il Tiraggio dei Chiodi sollevò nuovamente il gelido vento e oppose loro difficoltà oltre il limite caiano. In quel momento i due si ricordarono quindi delle parole del Tiraggio dei Chiodi: “prima di raggiungere la vetta, mi rinnegherete” e, abbandonato ogni sogno di gloria, piansero amaramente.

Il Tiraggio dei Chiodi disse loro: “Poichè avete ascoltato la voce del Demonio del Falesismo, di cui vi avevo comandato: non ne dovete ascoltare le parole, maledetta sia questa montagna! Al freddo scenderete verso valle senza conquistare nessuna vetta”. Quindi il Tiraggio dei Chiodi scacciò i due caiani dalla montagna perchè imparassero a tirare meglio i chiodi. Scacciò i caiani e pose un cielo plumbeo e un’aria gelida a guardia della parete anche per l’indomani.

I due caiani tornarono così verso valle con il cuore in subbuglio perchè gli impuri avevano raggiunto la loro vetta!


Cavallo Goloso


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