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ZAPPORTHORN – VALLE MESOLCINA

sabato 20 gennaio ‘24


- Ehi, Fra, sono le 6:40! - - Come le seiequaranta?!? - mi alzo di soprassalto come se fossero suonate le trombe del giudizio universale. - Maledetta sveglia: non ha suonato! - In un attimo sono in cucina quindi ci prepariamo sperando di non aver messo i calzettoni al posto dei guanti ma, alla fine, quei maledetti 40 minuti di ritardo mica riusciamo a recuperarli. Provarci in autostrada è impensabile a meno di voler passare le prossime giornate a guardare il cielo a quadretti. Poi in auto la Laura si accorge di aver dimenticato gli occhiali e io comincio a contare i bastoni che si infilano nelle ruote. Infine c’è il parcheggio che già pullula di auto e il fantasma del Cassina Baggio inizia a tamburellarmi sulla spalla insieme ad una miriade di altri dubbi: non è che questa volta ho pisciato un po’ fuori dal vaso? D’altra parte, quando ho guardato la carta, quel nome Zapporthorn mi ha fulminato, forse perchè ricorda la lotta con l’alpe e poi ci si è messa la relazione col canale e la cresta finale. Tiro su due paia di picche e una sola coppia di ramponi perchè di solito il Caianesimo con lo scialpinismo tiene un profilo basso. Di solito, appunto, non “sempre”! Intanto sulla strada del passo il fantasma del Cassina Baggio continua a picchiettarmi: saliamo una manciata di minuti e poi ci fermiamo, una volta per cambiare i guanti, un’altra per svestirci, poi perchè è l’ora della merenda e infine per svuotare la vescica. Morale: quel tratto di strada che dovrebbe passare sotto le pelli come nulla fosse, è l’ennesimo bastone che prova a farci ribaltare. Eppure, non molto più avanti, pare che qualcun altro stia puntando al nostro obiettivo che, ora, si profila all’orizzonte in fondo alla vallata - Beh, non è poi così lontano... - già, forse da qui: ma poi in montagna, quando meno ce lo si aspetta, le distanze iniziano ad allungarsi come l’ispettore Gadget. La Laura però ruzza e la vallata alla fine termina alla base del canale dove i pretendenti iniziano ad accumularsi un po’ come le mosche che sbattono contro la finestra. Mi focalizzo sull’obiettivo e sul percorso migliore per affrontarne la parte bassa perchè io sono un discepolo del Detassis e, per me, l’alpinismo resta sempre cercare il facile nel difficile. Così ci avviciniamo al deposito degli sci quando la coppia di testa ha da poco finito di nuotare nella neve ed è in procinto di gettare la spugna. Ma si vede che quelli non conoscono il Bruno altrimenti avrebbero tentato aggirando la fascia rocciosa da sinistra ed è lì che noi ci focalizziamo! Levati gli sci inizia il caianesimo, quello vero. I primi metri sono simili al nuoto nella melassa gelida: mi sposto un po’ a sinistra sfruttando anche le ginocchia, le mani che affondano e poi, finalmente, riesco a salire verso una sottile fascia rocciosa. A destra trovo neve dura e ghiacciata che con la tecnica del mulo (leggi calci a ripetizione) non riesco a scalfire. A sinistra è forse anche peggio: maledizione alla mia idea di risparmiare sul peso! L’unica via è al centro: mi alzo sopra la roccia affiorante e sono ancora alle prese con uno strato di neve compatto. Ora però la tecnica del mulo, anche se a fatica, sembra vincente ma per quanto potrò andare avanti? E la Laura? Ce la farà? Torno indietro: forse è meglio gettare la spugna - Che dici? Rinunciamo? - - Mai! Abbiamo fatto 30, facciamo 31! - mi piace! Mi sento ringalluzzito: torno sulle mie tracce e poi proseguo nell’ignoto scoprendo che qui nella neve si affonda. Attraversiamo sopra le rocce su un tratto che ricorda certe foto di imprese himalayane e poi, finalmente, siamo al canale, sopra al massimo punto di quella che era la coppia di testa. Ora sono io l’invasato: sopra di me vedo un pendio senza grosse difficoltà con la vetta che ora sembra a portata di mano. Solo che ci tocca nuotare nella neve e su un canale che all’inizio si impenna come un cavallo imbizzarrito prima di desistere e capire che con noi non c’è storia! Arriviamo quindi sulla cresta finale che si allunga aerea verso la vetta intonsa finchè alla fine ce lo troviamo sotto i piedi. Da un lato sono entusiasta, forse quasi estasiato per la forza e la tenacia della Laura, dall’altro abbiamo la discesa che qualche pensiero me lo da. Così non badiamo troppo ai convenevoli e iniziamo a seguire a ritroso le nostre tracce. La cresta passa e già questo è un sollievo; scendiamo per il canale e, all’inizio del traverso, arriva quello che sapevo sarebbe arrivato: la ribollita! Il tempo sembra fermarsi: il sangue che ritorna nelle dita porta un dolore lancinante, insopportabile che mi paralizza. Non so quanto tempo sia passato ma a me pare un’eternità e poi, finalmente, possiamo riprendere la nostra discesa. Resta solo il saltino roccioso: sono preoccupato, Laura ce la farà? Arriva al gradino, vi appoggia il piede ramponato come fosse normalissimo camminare con dei denti ferrati sotto gli scarponi, lo carica e, in un attimo, è giù. Ce l’abbiamo fatta! Ora sarà tutto una banale formalità. Solo che ho dimenticato di fare i conti con l’oste. Lo scarpone destro non ne vuole sapere di bloccarsi in modalità discesa e quindi mi tocca sciare con lo stivaletto che va avanti e indietro o, per meglio dire, più indietro che avanti. Insomma: già tendo a stare come sulla sdraio e ora mi trovo direttamente a letto! Per fortuna che il percorso non offre alcuna difficoltà e così, con ampie traversate, riesco a perdere quota. La zampata della montagna però è sempre in agguato e, quando oramai vediamo la strada del passo, sotto un dosso ripido e un po’ spelacchiato mi ritrovo a scivolare verso il basso facendo la boccia da curling su una lastra ghiacciata. La Laura, subito a monte, prova a traversare ma finisce anche lei nelle grinfie del ghiaccio camaleontico e si fa tutto il pendio di chiappe - Beh, almeno mi sono tolta il pensiero! - Già e, a quel punto, resta solo l’ultimo tratto e poi possiamo tornare a fare compagnia al Caddy solitario.


Cavallo Goloso


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