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MOESOLA (ANTICIMA, QUOTA 2904) – RHEINWALD

domenica 26 marzo ‘17


Sto per rientrare da Arco facendo ipotesi sull’orario di arrivo e, di conseguenza, su quello che farò domenica quando il Ricky mi scrive: “programmi per domani?”. La domanda è sufficiente per risvegliare il caiano che c’è in me anche se con certa preoccupazione sulla possibile sparata dell’amico: temo mi proponga qualcosa sul Grignone, solo che l’idea di partire ad un orario improponibile mi da quasi il voltastomaco. Inoltre non so come potrei reagire dopo il diedro Maestri. Ad ogni modo mi lascio catturare all’amo e attendo la proposta. L’idea è quella di fare il Chilchalphorn anche se non credo di reggere i suoi 1400 metri di dislivello, allora il mio lato sadico mi illude che potrò sempre alzare bandiera bianca e così la mattina mi ritrovo con sci e scarponi pronto a martoriarmi.

Piove. Mentre risaliamo per il Ticino, le gocce d’acqua lasciano il posto ad un compatto ammasso di nuvole. Ne sono quasi contento: magari salta tutto, facciamo dietro front e mi salvo da questa improbabile vetta; tanto più che l’idea di ripetere qualcosa che ho già fatto non mi da un grande stimolo. Ci infiliamo nel tunnel e aspettiamo l’evolversi degli eventi sul versante nord. È come lo Yin e lo Yang: da una parte il brutto, dall’altra il sole splendente! Mi è andata male! O forse no? Il pendio del Chilchalphorn si presenta infatti come un pascolo per le vacche: vai a capire cos’ha visto chi ha scritto la relazione su On-Ice! L’idea di spallare fa colare a picco ogni ambizione di vetta o, peggio ancora, di tentare il Lorenzhorn che ora pare raggiungibile come Marte. Così troviamo l’alternativa proprio alle nostre spalle dove il pendio si mostra nella sua candida veste con una cima un po’ più bassa e, soprattutto, non ancora raggiunta.

Mi trovo in una specie di limbo, a cavallo tra l’inferno di un crollo fisico imminente e il paradiso della forma smagliante; però tengo duro e cerco di restare dietro al Ricky. Superato il primo pendio, iniziamo quindi un lungo pianoro gibboso in direzione della vetta: una specie di cammello dalle gobbe infinite! Il massimo se si è sul punto di finire tra le fauci di Lucifero! Poi alla base dello strappo finale ho una rinascita: mi sembra di essere come Aste sulla nord dell’Eiger che dava il meglio dopo i primi giorni in parete. L’autostima è una vera potenza!

Passo in testa ma alla sosta alla base dell’ultimo breve strappo, sono colpito da Eolo e dalla mannaia che tritura ogni forza residua. La meta però è lì a pochi metri e non posso certo mollare il colpo né farmi travolgere dalla scalata di ieri. Così, stoico, affronto gli ultimi metri fino a mettere i piedi sull’anticima, la fine della gita scialpinistica. Sarà forse la voglia di raggiungere la vetta vera e propria, il punto lasciato intonso da tutti quelli che ci hanno preceduto, fatto sta che bastano pochi minuti per sentirmi rigenerato e così lascio parlare l’istinto spegnendo il cervello: tentiamo la cima? Chiaro che a quel punto mi trovo ingabbiato nella trappola che io stesso ho tessuto: risaliamo il dosso che ci separa dal punto più alto, una manciata di metri di falso piano che mi aprono gli occhi sulle mie condizioni pietose. Fortuna vuole che ogni ambizione termini lì, davanti ad una sella che ora si erge a mia eroina lasciandomi solo i dubbi della discesa.


Cavallo Goloso


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