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CHILCHALPHORN – RHEINWALD

domenica 21 febbraio ‘16


Finalmente chiudo i conti e metto una bella X anche su questa vetta che, tra un tentativo fatto e diversi ipotizzati, mi è passata davanti già diverse volte, rischio che, a dire il vero, ho corso anche oggi quando, giunto poco oltre la metà, ho iniziato a cogliere i frutti della partenza a razzo sebbene avessi continuato a ripetermi il mantra “sali con calma, vai adagio”.

Quando scendo dalla macchina, pur trovandomi ancora all’ombra, un insolita calura mi avvolge mentre la neve sembra già una specie di granita indurita. Insomma ci sono tutte le premesse per una sfacchinata colante in salita e una lotta in discesa! Lascio il pile nel bagagliaio e mi avvio alla caccia degli altri scialpinisti con i quali presumo condividerò solo una parte del percorso verso il Lorenzhorn, il mio ambizioso obiettivo. Quindi, forte anche della traccia ben battuta, risalgo molto rapidamente il primo tratto, fino ad un alpeggio poco oltre il quale era naufragato il precedente tentativo e dove la situazione si fa ancora più affollata: insomma, se avessi voluto stare in solitudine, avrei dovuto puntare a qualche altra cima! Riprendo fiato e cerco quindi di partire prima che il gruppone caiano inizi la sua marcia verso l’alto mentre un sole primaverile mi invita a proseguire a mezze maniche. Tutto al momento fila liscio: raggiungo un bivio e punto diritto, mentre la gran massa svolta a destra; forse mi sono tolto dalla ressa?

Bastano però pochi passi per avvicinarmi rapidamente e pericolosamente al vortice che anticipa un drastico tracollo chiaramente dovuto alla corsa iniziale; tuttavia, come se non bastasse il pivellico errore, lo sci sinistro inizia pesantemente e faticosamente a scorrere lungo la traccia: maledetto zoccolo! Da qui in avanti, sarà una lotta continua contro la neve che si impatacca sulle pelli formando un ammasso duro e pesante che mi ancora al suolo. Per di più la stanchezza si fa sentire con il risultato che ben presto abbandono l’idea del lontanissimo Lorenzhorn e punto alla più vicina vetta del Chilchalphorn. Anche se mancano solo 300 metri, la distanza a tratti mi sembra quasi incolmabile, essendo forse più vittima mentale del terrore di un drastico tracollo piuttosto che di una vera e propria spossatezza fisica. Osservo chi mi precede, poi il deposito degli sci: devo tenere duro, mancano solo pochi passi e, per di più, il problema zoccolo sembra passato. Infatti, appena tolgo i legni, un bell’ammasso di neve fa capolino da sotto le pelli! Poco male: ora mi resta la breve crestina e, finalmente, posso dire di essere sul punto più alto. Mi fermo poco: il Lorenzhorn è la in fondo, isolato, forse solo in 4 o 5 ne occupano la cima mentre qui è un continuo via vai: mi converrà iniziare a scendere se non voglio sciare su una tritata.

Inforco i legni e mi sparo alcune curve: la neve è ottima, già in parte trasformata cosa che mi permette di non sfigurare davanti a tutta questa gente. Ma l’idea del Lorenzhorn torna a bussare: due vette in un giorno? Perchè no? Traverso alla vicina sella e valuto la situazione. Dovrei perdere quota per poi risalire sull’apparente intonso pendio. Insomma, una specie di altro Monte Leone. L’orologio potrebbe essere dalla mia ma non credo che riuscirei a raggiungere la macchina prima delle 4. Poi c’è il fatto che ho già faticato per il Chilchalphorn tirandomi dietro un’inutile e pesante zavorra: che ne sarà su un tracciato vergine?

Alla fine desisto, lascio perdere l’ambizioso progetto e mi avvio verso valle. Sciisticamente parlando è stata certamente l’idea migliore: riesco infatti, in totale solitudine, a godermi un’ottima neve e a disegnare curve sottili e sinuose almeno fino a raggiungere l’alpeggio; da qui infatti praticamente non si scia più, a meno di considerare tale fare scorrere i legni per la massima pendenza così da evitare pericolosi impantanamenti in una specie di melma granitosa!


Cavallo Goloso


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sabato 19 gennaio ‘13


Alla fine la terapia d’urto ha quasi funzionato; un successo più che per metà. Il tempo non promette nulla di nuovo e neppure la mia salute il cui stato imputo essere dovuto alle temperature tropicali in cui mi trovo a passare il tempo dal lunedì al venerdì. Nonostante tutto mi accordo con Cece e Silvia per una sciatina sulle piste chiuse del San Bernardino e così sono qui al Melillo ad aspettare la coppia mentre mi domando dove si sia andata a cacciare la neve che doveva iniziare a cadere già dalla mattinata.

La domanda non trova alcuna risposta e anzi si fa ancora più insistente quando raggiungiamo la meta: il tempo sembra più volgersi verso il bello, soprattutto al di là del tunnel e così proseguiamo sbucando oltre il traforo. In effetti la situazione ci appare migliore con addirittura uno sprazzo di azzurro sopra Hinterrein dove decidiamo di arrestare il viaggio della nostra auto. Lasciata così perdere la noiosa risalita delle piste, optiamo per il Chilchalphorn senza avere però alcuna pretesa di raggiungerne la cima. Per di più siamo consolati dalla presenza di alcuni sparuti scialpinisti che ci precedono: insomma, non siamo gli unici fuori di melone!

Saliamo con un buon ritmo su un percorso dove la neve non è proprio abbondante mentre nel frattempo quell’isolata macchia d’azzurro sparisce completamente ricoperta da nuvole sempre più scure e minacciose; anche il vento inizia a darci dentro mentre la visibilità cala drasticamente. Ma stoicamente continuiamo a procedere senza avere ben chiaro dove arriveremo anche perché di fatto proseguiamo a naso seguendo l’andamento del pendio. Quando però diventa effettivamente insensato continuare a procedere, decidiamo di fare dietro front dopo aver superato poco più di 500 metri. Un dislivellone!

Fin qui la terapia d’urto sembra aver avuto un buon effetto; non mi sento malaccio e comunque meglio rispetto a quando sono partito da casa. Vedremo ora la discesa. Scivolo sul manto nevoso per gravità e, in qualche modo, mi trascino verso valle; praticamente sono un palo piantato su due aste parallele al terreno. Non so se imputare lo stile alle mie condizioni o a quelle della visibilità che fa apparire tutto maledettamente uniforme, anche se, soprattutto col senno di poi, resto propenso più per la la prima ipotesi che per la seconda. Fatto sta che riesco rapidamente a porre la parola fine a questa discesa che nemmeno lontanamente si avvicina a ciò che si definirebbe una sciata, senza essere infatti riuscito a mettere insieme una curva decente.

Non resta allora che guidare verso casa mentre Silvia sonnecchia sul sedile di dietro e Cece mi espone i progetti per l’estate. Del resto bisogna portarsi avanti! Morale: intorno alle 2 e mezza entro in casa infreddolito nonostante il piumino da 8000 e con le gambe doloranti, alla faccia della gita modello passeggiata. Il verdetto del termometro sarà d’altro canto implacabile: 38,7°! Ma la terapia d’urto ha funzionato: già alla sera la temperatura scende a 37 e mezzo e la domenica mattina sono guarito, il tutto senza prendere alcuna medicina!


Cavallo Goloso


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