DIEDRO MAESTRI – PICCOLO DAIN
sabato 25 marzo ‘17
Se il buongiorno si vede dal mattino, questa volta rischiamo di finire in mezzo ad un uragano! Siamo infatti ancora comodamente acciambellati sui sedili della Punto quando, forse annebbiato dall’astinenza da vetta, inizio a percorrere i tornanti che salgono verso Madonna di Campiglio come se per raggiungere l’attacco del diedro a livello del fiume che sprofonda nel fondo della gola, sia necessario, non si sa bene per quale principio fisico, puntare là dove indica il compianto Fiorelli. Fortunatamente mi desto rapidamente dalla trance caiana, volto il muso verso valle e raggiungo il parcheggio. Ma, come ho detto, vogliamo a tutti i costi finire tra le braccia della tempesta e così riusciamo a perderci anche lungo il breve avvicinamento solo perchè diamo per scontato che il sentiero debba trovarsi sullo stesso lato della parete; la geniale intuizione ci fa però solo sbattere contro uno sbarramento della strada e alcune cordate che ci guardano come extraterrestri a causa dell’immane carico che ciondola dai nostri imbrachi. A quel punto non ci rimane quindi che fare come Colombo con l’uovo: diamo un occhio alla relazione e proviamo a raddrizzare ciò che ha iniziato a crescere come il gobbo di Notre Dame. Scopriamo così che l’accesso è sull’altro lato del Sarca e, per raggiungere l’attacco, dovremo fare i funamboli su dei grossi cavi metallici. Considerando che vado d’accordo con la slackline come un ciliaco con il glutine, in questa manciata di metri d’avvicinamento ci sono già tutti i presupposti per una sana e vera lotta con l’alpe!
Prima però il trenino fantasma su cui ci siamo imbarcati ci propone un’altra inaspettata sfida: fare come Michael Phelps oppure affidarci ad un cavo d’acciaio che corre lungo una paretina verticale proprio sopra il torrente. A quel punto iniziano ad accavallarsi dubbi sull’impresa in cui mi sto per ficcare: mi viene quasi la tentazione di scendere dal vagoncino anche perchè a metà parete ci attende una bella colata bagnata che, da qui, sembra “facilmente” superabile ma, quando sarò lassù, sarà sicuramente responsabile di un’abbondante sgommata nonché di una serie di maledizioni contro la masochistica ambizione caiana. Non faccio però in tempo a decidermi sulla scusa da presentare che Walter si trova già a metà traversata e così, avendo dimenticato a casa i braccioli, non mi resta che approntare una longe e seguire il compagno di sventura. Chiaramente la sicura si rivela troppo corta col risultato che arrivo a metà traverso senza riuscire ad attaccarmi al cavo e confidando solo nella forza delle mie braccia rachitiche e soprattutto senza considerare che, forse, sui 12 tiri che mi spettano, dovrò fare ricorso anche ad un po’ di energia degli arti superiori. Fortunatamente il fiume non reclama alcuna vittima e ci lascia superare indenni il suo corso: probabilmente vorrà sghignazzare per lo spettacolo circense delle prossime 6 ore e mezza!
Perdita del percorso: fatta; guado su fiume: fatto; slackline: fatta!
Finalmente metto quindi le mani sulla roccia: e che roccia! L’antipasto prevede una manciata di metri su rampetta erbosa e fangosa, quindi un breve tratto fessurato che porta alla base di un tettino dove il fenomeno sedimentario da segni di svogliatezza per poi raggiungere il culmine subito sopra dove tiro fuori anni e anni d’esperienza (e soprattutto chiedo aiuto alla dea bendata) per evitare di mettere un piede su un comodino mobile o di aprire inaspettatamente qualche antina ballerina. Anche qui riesco a cavarmela ma la nuvola di dubbi inizia a farsi scura come prima di un temporale ricordandomi che chi ben inizia è a metà dell’opera solo che qui sono a 1/12 della salita!
Tiro marcio: fatto!
Quando Walter mi raggiunge gli chiedo se intenda salire da primo la prossima lunghezza: un’immancabile tiro su bosco ripido! Mi risponde come se gli avesi offerto un piatto di peperoncini, mi cede il materiale e mi da l’occasione per mostrare le mie vasti dote di tiratore d’erba.
Risalita su prato: fatta!
Quando parto per il terzo tiro ho le scarpette con annesso zoccolo di fango che, se fosse Nutella, potrei gustarmi col cucchiaio. Poi il Maestri deve essersi portato dietro sega e decespugliatore forse in previsione della futura apertura della via del compressore al Cerro Torre perchè i primi metri del diedro si fanno strada tra poderosi rami di edera. La rampicante però, sarà forse per assonanza con lo sport che sono convinto di praticare, non disturba affatto la mia elegante progressione anzi, giusto prima di passare definitivamente alla roccia, mi vedo tirare e poi appoggiare un piede su un robusto ramo del parassita!
Scalata con zeppa fangosa: fatta; scalata su edera: fatta!
Poi finalmente si scala su roccia anche se ho scoperto che sotto l’8b non è arrampicata: me ne frego di quello che dicono gli FF e mi godo i primi movimenti in diedro e fessura questa volta riuscendo (veramente) ad essere quasi elegante. Al quinto tiro devo lottare contro i miei fantasmi: la colata bagnata è lì che mi aspetta, vogliosa di farmi sperimentare l’acquaplaning sulla parete verticale; non mi faccio fregare: appoggio i piedi su due provvidenziali chiodi a pressione e poi lascio fare all’esperienza caiana strizzando la roccia con morsa letale fino a lasciarmi alle spalle anche questo ostacolo e sentirmi la vittoria praticamente in tasca.
Scalata sul bagnato: fatta!
Sulla lunghezza seguente, l’allineamento astrale porta ad un evento inimmaginabile: pensando infatti che l’artificiale sia in corrispondenza del tettino d’uscita, mi impegno a fondo su un tratto strapiombante e un po’ viscido col risultato che, invece di abbassare la libera e aumentare l’artificiale, annullo quest’ultimo alzando il livello della prima! Quando quindi mi avvio sull’ottavo tiro, sono galvanizzato: mi avvio quindi verso la famelica bocca dello strapiombo senza immaginare quale orco sia lì ad attendermi. Ben presto però la situazione si rivela per quella che è: il tetto da superare è uno dei classici passaggi da lotta estrema con chiodi ballerini. Mi viene in mente la Spaccatura Dones ma là era solo un tiro d’artificiale (certo, forse ben più “cagoso”) e soprattutto una via che, si e no, sarà stata un terzo di quella di oggi! Non mi resta quindi che la classica tecnica caiana del ciapa e tira, metodica che mai potrei dimenticare e che mi riesce anche con particolare naturalezza almeno fino al chiodo che si flette come fosse di pongo. Non mi faccio però prendere dal panico: piazzo un friend a destra e continuo la mia ginnastica verticale fin sotto ad una nicchia. Ora si che le mutande si fanno marroni, forse un po’ per la terra che mi tiro addosso mentre annaspo alla ricerca di una presa ma soprattutto per il cordone rinsecchito e sbiadito che mi protegge e che affonda in un ammasso di pietrisco e terriccio che nasconde ciò che lo sorregge. Ho il terrore di tirarlo e vedermelo restare in mano ma, d’altra parte, non so se in caso di caduta riuscirà a sostenere il mio peso; poi il Walter ci si avvinghierà come un naufrago sullo scoglio senza che il cordino si scomponga minimamente. Così l’unica soluzione sembra essere la libera. Lancio una mano nella nicchia soprastante ma questa si rivela praticamente liscia: spero quindi che l’effetto ventosa faccia il suo dovere insieme ad una caccolina per il piede sinistro finchè mi butto nella culla soprastante.
Tiro d’artificiale su protezioni marce: fatto!
La lotta però non è finita; la via non molla l’osso e prova ancora a ributtarci indietro, d’altra parte non gli restano molte cartucce da sparare. Così riprendo a salire sulla nona lunghezza che, ancora, mi propone una partenza pepata per diedro strapiombante. Devo proprio avere un istinto naturale nel ficcarmi nei luoghi più angusti: questa volta, come una specie di verme rocciatore, mi incastro per bene nel fondo del diedro finchè il casco non rimane impigliato tra le due facce della struttura. Ho un rapido flash: mi rivedo incastrato in Cunicolo Acuto in val di Mello, col terrore di dover aspettare l’elicottero e un mega divaricatore che allarghi quel tanto che basta la roccia per permettermi di scappare dalla morsa in cui sono finito. Mi ricordo che da piccolo ero rimasto incastrato tra le sbarre dell'inferriata del castello di Ferrara: si, evidentemente devo avercelo scritto nel DNA! Questa volta però non attendo di arrivare a tanto: sfilo la testa liberando il casco e poi cerco di raccapezzarmi su come cazzo sgusciare via da questa specie di grossa vagina rinsecchita. Di nuovo ritorna il ricordo della Spaccatura Dones e, guardo caso, anche questa volta dovrò uscire verso sinistra. Domandando a Walter e contemporaneamente a nessuno come diavolo potrei mai uscire da questa situazione finchè inizio a scivolare verso l’alto strisciando come un verme mentre le mani spingono nella direzione opposta.
Spingi! Spingi! Spingi! Vedo la testa! Forza, forza!
Mi capita per le mani una bella ronchia e io mi ribalto fuori dalla vagina. Ora nulla potrà fermarci: vedo chiaramente spianata la strada per la vetta! Sono quindi gioiosamente intento a percorrere gli ultimi goduriosi metri di questo tiro quando ho un incontro ravvicinato con una specie di gallina sputata fuori dalla fessura. Il rapace (forse una civetta) si limita però a spiegare le ali e a tuffarsi nel cielo blu senza divertirsi a sforacchiarmi con il suo becco acuminato. La sparata è così rapida che la funzione “terrore apocalittico” non riesce in realtà ad attivarsi: mi alzo sul terrazzino che sto “tenagliando” con le mani e guardo nella canna del fucile da cui è partito il proiettile. Quattro stramaledette uova, candide come dopo un lavaggio in candeggina, mi guardano apatiche: fottute uova! Sono un “civetticida”! Ho sulla coscienza ben quattro volatili: sono uno stragista! Il senso di colpa ha tutto il tempo di maturare lentamente: forse mi metteranno dentro solo per uccellicidio colposo e potrò cavarmela con la buona condotta! La mamma intanto non si fa più viva e io riprendo a salire sperando di non beccarmi qualche uomo in grigio-verde all’uscita dalla parete con conseguente multa per un “disturbo di rapace”!
Rinascita da vagina rinsecchita: fatta; attacco da volatile: fatto; uccellicidio: fatto!
Sulla carta la salita oramai dovrebbe essere una semplice formalità: mi bevo la lunghezza seguente come un bicchiere d’acqua ma, mentre sto recuperando le corde, un nuovo inaspettato evento si presenta sul palcoscenico. Il Sarca giù là in basso non si sta certo annoiando! Lo sento arrivare con calma, avvicinarsi con passo lento ma sicuro. Non ho alcuna possibilità di fermarlo; completamente impotente, lo guardo venire con il suo ghigno beffardo. Devo solo attendere il corso degli eventi e sperare di non esserne travolto. Forse mi lascerà stare, mi passerà accanto sfiorandomi appena e io potrò proseguire come se nulla fosse. Invece no! Provo a massaggiarmi il possente bicipite ma lo stronzo è lì: mi blocca il braccio a 90 gradi lasciandomi una fitta che si propaga come il latte versato.
Crampo al bicipite: fatto!
Questo mi mancava proprio! Non che ne avessi mai sentito la mancanza ma almeno è il segno che tra la pelle e l’osso ci stia qualcosa di vivo! Ci impiego un attimo a riprendere l’uso del malcapitato: il timore più grosso, a questo punto, passa su ciò che ci spetta. Sono due tiri di V+, non dovrebbero darmi problemi, però non vorrei scartare l’ennesima sorpresa!
Sarà forse che Pasqua si sta avvicinando, fatto sta che dalle due uova soprastanti non escono due simpatici regali ma piuttosto altrettanti rompicapi che mi impegnano non poco. Pesco ancora dal mio bagaglio caiano spinto dal profumo della vetta, evito di precipitare sull’ennesimo collage di Pritt che quando andavo alle elementari non incollava nulla ma mi imbrattava solo le dita finchè sopra di me si trova un breve prato verticale che poi si abbatte tra gli alberi del pianoro soprastante.
Caianesimo extreme: fatto!
Ora è solo questione di trovare il sentiero di discesa che, chiaramente, ci si para davanti dopo aver gironzolato tra arbusti e sassi alla sua disperata ricerca mentre mi gusto il delicato ma prolungato sapore della vittoria e mi vedo proiettato sul maxi schermo mentre leggero salgo lungo la fessura del diedro quasi come il Luca sull’Ultimo Shampoo del Generale Custer.
Cavallo Goloso
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