GREVASALVAS – ENGADINA
giovedì 04 gennaio ‘24
Vedo il thermos scivolare: inizialmente lentamente e poi, in un attimo, prende la velocità dei pazzoidi dello slittino. Salterella sulla neve dura e ventata e poi sparisce oltre il pendio. Resto attonito. Immediatamente torno al mio thermos perso allo stesso modo al Ruchen. Quello aveva la scritta “Extreme” su sfondo nero. Una specie di premonizione. Da allora ho sempre avuto un particolare riguardo ad appoggiare qualcosa sulla neve, soprattutto se la sua forma è vagamente tondeggiante. Lancio un’occhiata al suo proprietario o, per meglio dire, a quello che era il suo proprietario. Ora la borraccia termica appartiene alla montagna. Lui mi ricambia con uno sguardo da pesce lesso: addio tè rigenerante; noi invece completiamo i nostri preparativi per la discesa. Arrivare fin qui è stata lunga. Ci sono voluti anni: precisamente, dalla volta in cui ho calcato la cima dell’Emmat, ne sono passati quasi 13. Un’eternità. All’epoca la Laura aveva ben altro cui pensare che immolarsi al Caianesimo eppure ora che ha scoperto la retta via la segue fedele come una devota penitente. Comunque torno alla resa dei conti un po’ per caso, forse un po’ come per il Lunghin: in fondo pochi giorni fa ce l’avevamo davanti agli occhi il Grevasalvas e, cercando una gita che ci permetta di sfondare i 1000 metri, questo torna tra i papabili. Così eccoci al parcheggio davanti al lago: il cielo è grigio, l’acqua scura e tetra. Sembra di essere in un film in bianco e nero. Lasciamo la macchina e superiamo il breve tratto nel bosco: qualcosa inizio a ricordarlo ma non a sufficienza per evitare una breve deviazione che, per altro, rientra nella quasi normale routine. Probabilmente la Laura se l’aspetta e, tutto sommato, questa volta le va anche bene. Arriviamo al Grevasalvas ma è solo un piccolo nucleo di baite. Tutti proseguono diritti ma la nostra traccia andrebbe a destra. Ci penso un po’ su: guardo la carta, mi fido dei cartelli (l’ultima volta non è andata proprio benissimo!) e seguo il mio istinto. La Laura ha un brivido. Attraverso l’abitato girando a destra e siamo soli. La neve però porta chiaramente i segni di passaggio così noi continuiamo fino a ricongiungerci con l’altra traccia e la Laura torna più tranquilla. Intanto continuiamo la nostra progressione che, più che una salita, è un lungo traverso in diagonale che attraversa la vallata sospesa, superiamo un breve tratto che in discesa si rivelerà simpatico come le mutande tra le chiappe e poi il laghetto gelato, un elemento imprescindibile per una gita bucolica. Già, forse se fossimo avvolti nella calura di una giornata estiva ma ora l’idea di tuffarmi sotto il tappo ghiacciato non mi sfiora nemmeno l’anticamera del cervello. La traccia poi punta a destra come fosse diretta al Radonda ma la nostra cima è dall’altra parte, esattamente dirimpettaia. L’istinto me lo ripete: sei al pianerottolo giusto ma stai per suonare alla porta sbagliata. Eppure sembra che tutti vadano lì. Ci guardo attentamente a quel pendio apparentemente intonso poi vedo che chi ci precede segue la traccia, raggiunge il crinale, passa dietro alcune rocce e poi traversa dall’inquilino giusto. Il dirimpettaio non lo caga nessuno anche perchè da qui pare piuttosto scorbutico con un cresta che sale bella cattiva. Sembra intrigante. Qualcosa da Caianesimo Extreme. Sarà per un’altra volta: meglio attingere dal vassoio di pasticcini che tentare di prepararsi una torta fai da te che poi magari esce una schifezza. Superiamo le rocce con gli sci che stridono e urlano e poi siamo sotto l’ultima breve salita. Un tizio ci supera. Sale con calma ma costante: dovrei dirgli di godersi il tè o di salutare degnamente il thermos ma non sono un indovino e non posso certo immaginare che da lì a poco quello scivolerà nella vallata verso Bivio. Posso solo azzardare che ora la cima è praticamente cosa fatta, un’altra bollinata da aggiungere alla collezione che in queste vacanze sta facendo un po’ come l’italiano medio: ingrassa a colpi di panettone e crema al mascarpone.
Cavallo Goloso
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