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BÄRENHORN – RHEINWALD

sabato 13 gennaio ‘24


Scavallo la cresta e la vetta è lì a poche decine di metri. Guardo verso il versante sud: la Laura è poco sotto, impegnata sull’ultimo traverso. Non sembra affaticata, anzi, sul suo volto è accennato un lieve sorriso o, forse, è solo l’effetto inebriante della quota. In ogni caso, se me l’avessero chiesto, non avrei di certo scommesso che saremmo riusciti ad arrivare in cima. Anzi, a dirla tutta, il preambolo era - Tentiamo il Bärenhorn... ma non credo che riusciremo a raggiungerlo... - lapidario come una mazzata. Probabilmente con chiunque altro la frase avrebbe portato all’effetto indicato ma con la Laura funziona la psicologia inversa o forse lei è semplicemente forte e sta solo perdendo la ruggine. Ma allora, perchè non puntare a qualcosa di più corto? Perchè, a dirla tutta, sono un po’ stufo delle uscite che orbitano intorno al migliaio di metri. Col Grevasalvas abbiamo sfondato il muro, col poncione d’Arbione ho avuto la riprova che l’aquila batte sul cuore della Laura e infine con l’uscita di ieri che sta diventando una fanatica dello scialpinismo. Quindi qui il problema non è tanto se sia io un egoista che vuole appagare i suoi bisogni ma, piuttosto, che mi converrà allenarmi seriamente se non vorrò farmi passare sopra le orecchie e arrancare come una vecchia lumaca bavosa cercando di stare dietro le sue code. Così, per valutare gli eventi futuri, i tempi mi sembrano maturi per azzardare qualcosa sui 1400: il giusto compromesso tra una salita impegnativa ma non ancora proibitiva e una discesa che permetta di divertirsi un po’. Eliminati i papabili già saliti, mi sembra che il vicino del Tällihorn possa cadere a fagiolo e così ci ritroviamo a guardare l’impietoso termometro della macchina con i suoi meno dodici che non invogliano a saltare fuori dal calduccio. Sento già il rumore delle dita che si spezzano come bastoncini surgelati. Prendo coraggio e apro la portiera entrando nel regno delle tenebre di Nufenen dove non batte mai il sole: le dita reggono il colpo, infiliamo gli scarponi e siamo definitivamente dentro l’avventura. Appena fuori dal paese, la neve è un ammasso polveroso inconsistente che fagocita gli sci ma la cosa dura una manciata di metri: raggiungiamo infatti rapidamente la comoda traccia e iniziamo a salire su per il costone. Tutto sembra facile: basterà seguire questa schiena di mulo imbizzarrito per un bel po’ e poi deviare al momento opportuno. Appunto: quello non si sa mai bene quando arriva perché di solito gli piace nascondersi come il camaleonte. Intanto saliamo come il “Lent ma Seguent” del gioco in scatola sullo scialpinismo o come i vecchi lupi dell’attività: senza strappi ma con ritmo costante come un metronomo che poi, alla fine, si macinano comunque i metri sotto le pelli. Infatti, alla nostra prima pausa, siamo superati da una specie di zaino carrozzone che viaggia sulle spalle di uno sprinter: lo vediamo involarsi su per il pendio mentre io sbocconcello la nostra merenda e la Laura la divora. Poi riprendiamo la salita fino al pit-stop del fuggitivo perché alla fine chi va piano fa sano e lontano tanto che ci raggiungerà solo dove la montagna termina di salire! Continuiamo quindi a seguire il crinale che sembra protrarsi all’infinito verso l’alto mentre mi domando che fine abbia fatto la cima che fa la timida restando nascosta in fondo al pendio. Poi il suo triangolo finalmente si para davanti a chiudere l’anfiteatro e io mi accorgo che avremmo dovuto lasciare il crinale un po’ più in basso. Come dirlo alla Laura? Probabilmente potrebbe ironicamente sbranarmi trasformandomi nel suo prossimo spuntino. Aguzzo la vista scandagliando una possibile alternativa perchè la traccia che stiamo seguendo mi dice che non siamo gli unici ad aver preso la cantonata anche perchè il crinale è invitante come seguire una pista di pasticcini. Il nostro diabete è il pendio che, più avanti, la traccia taglia di netto: il livello glicemico inizia a salire alle stelle ma finchè non avremo una visuale più vicina è inutile fare gli struzzi e infilare la testa nella sabbia. Espongo quindi il problema ma anche la soluzione e poi riprendiamo a seguire la nostra sequela di paste. Alla fine, il pendio si rivela meno scontroso di quanto sembrava: nulla che non si possa insomma affrontare con le debite precauzioni. Eccoci, dunque, alla sella con gli ultimi metri che ci separano dalla gloria caiana. Li risalgo quasi col cuore in gola finché la cresta arrotondata sbatte contro il cielo blu, i pasticcini finiscono e il classico ometto di vetta mi avvisa che oltre non posso salire. Apriamo le nostre tessere del sodalizio e i bollini si moltiplicano a profusione e poi, come se qualcuno avesse versato del cioccolato fuso sul vassoio di paste, resta ad attenderci una polvere quasi perfetta per gran parte della discesa.


Cavallo Goloso


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