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IN RICORDO DI MARCO ANGHILERI – ANTIMEDALE (TORRIONE ROSA, DAVIDE E STEFANO)

domenica 24 gennaio ’16


Sono passati poco più di due mesi eppure la macchina gira ancora bene, oserei dire quasi alla perfezione. L’allenamento in falesia sembra dare i suoi frutti e noi siamo veramente forti! L’autoconvinzione e l’elogiarsi può fare miracoli! Ma forse proprio l’essersi trasformati in odiati FF è il motivo del principale e forse unico errore: aver dimenticato il casco. Il fatto è che, se io mi ricordo della protezione per il cranio solo quando sono già a Lecco, per Cece la lampadina si accende quando stiamo già salendo lungo il sentiero. Appunto: la salita. Una volta l’avremmo fatta quasi di corsa; ora, sarà forse per dare tempo al sole di sorgere, sembriamo due sottospecie di bradipi. E poi, a segnalare una troppo spiccata indole da FF, ci si mette un’intera da 80 metri (di cui alla fine non ho neanche capito l’utilità) e il gri gri. Così bardati, raggiungiamo quindi la base della Chiappa senza avere ancora effettivamente deciso per quale via saliremo alla parte alta della parete. Mentre quindi un’altra cordata affronta la prima lunghezza, Cece parte a razzo con l’idea forse di fare un unico tiro della via: insomma, l’indole caiana, sentito il richiamo, torna finalmente a fare la voce grossa mentre mi chiedo se non sia forse meglio salire slegati piuttosto che affidarsi all’effetto yo-yo e a protezioni più saltate che rinviate! Non che quando arrivi il mio turno, sotto il tetto al termine del terzo tiro, la musica cambi: anche il sottoscritto si impegna non poco a salire il più rapidamente possibile limitando al minimo le rinviate per evitare problemi di attrito. Resto solo sorpreso dell’unto diedro alla quarta lunghezza dove ricordavo una protezione a rendere più sicuro il tratto più impegnativo della via. Evidentemente o la memoria inizia a fare cilecca o qualcuno si è divertito a levare un chiodo! Poco male: afferro quei due o tre panetti di burro e mi rovescio sopra l’ostacolo inebriandomi con una slittata della scarpetta che fortunatamente non porta ad alcuna conseguenza.

Così archiviamo la prima pratica pronti a ripetere la mitica via tra le Chiappe. È ancora Cece a condurre lungo l’interessante monotiro che avevamo aperto quasi due anni fa. L’amico risale la placca, raggiunge il muretto con provvidenziale fessurina e poi prosegue per roccette e sfasciumi fin poco sotto il sentiero di discesa. Fin qui dunque il terreno noto non ci ha creato problemi mentre ora ci apprestiamo a varcare una nuova soglia dalle incognite abbastanza considerevoli. È un po’ come affrontare un banco di nebbia con i fari spenti. La prima grossa perplessità è legata all’obbligato della nuova via: se infatti quell’VIII+ dovesse essere anche la massima richiesta per poter raggiungere la cima, difficilmente avremo le carte in regola per ultimare la salita. Con questo dubbio amletico, raggiungiamo quindi l’attacco dove mi trovo a dover aprire le danze su una prima lunghezza che, stando almeno alle nostre informazioni, dovrebbe essere facile. Guardo la parete ma non ne sono minimamente convinto; oltretutto, gli unici spit che vediamo chiaramente sono chilometricamente lontani! Non possiamo però stare qui a muffire così finalmente mi decido a lasciare il cordone di sosta: piazzo un bel 3 e poi traverso più facilmente di quanto avessi creduto. Raggiungo lo spit e dopo un conciliabolo, decidiamo che quella debba essere la sosta del primo tiro: breve ma in linea con le attese. Parte Cece: la fessura da proteggere ci scaraventa in un altro ambiente, un breve passo su gocce ci ricorda che ci stiamo avvicinando nel regno dell’alta difficoltà e infine il muro verticale soprastante ci fa saggiare la cattiveria tecnica della salita. Quando arriva il mio turno, forte della corda dall’alto, provo la libera complimentandomi anche con il ridicolo allenamento al trave ma, d’altra parte, le dita sembrano inaspettatamente forti. Ovviamente la batteria si esaurisce prima che io riesca a salire anche perchè pretendere di fare i passi al primo tentativo resta certo qualcosa di esagerato. Esco quindi dal tratto più duro con le braccia già gonfie mentre la parete si diverte a pomparmi altra ghisa con alcuni passaggi atletici. Poi arriva il breve traverso: prendo la fessura, mi muovo verso destra ma alla fine pendolo. Nulla di eclatante o che si avvicini a Piedi di Piombo però mi faccio il mio voletto che mi porta poi a risalire un bel passo muschiato fino a raggiungere Cece dove prendo le chiavi della cordata. Mi preparo e parto verso il diedro: la struttura non sembra eccessivamente cattiva ma, d’altra parte, non credo che il grado sia stato regalato! Insomma mi aspetto da un momento all’altro una bella inculata senza però sapere dove potrò essere colpito! Salgo con calma, richiamando il caiano e l’FF che c’è in me mentre tengo lontano il desiderio di azzerare: d’altra parte i numerosi chiodi sono una tentazione molto forte! Passo dopo passo, entro sempre più nel cuore del diedro; le scarpe spingono sulle pareti mentre cerco qualcosa di decente da tenere: la suola terrà o scivolerò verso il basso? Spingo col palmo della mano cercando di guadagnare altri preziosi centimetri convinto che il prossimo appoggio mi darà un attimo di tregua. In realtà finisco sempre su un minuscolo approdo che la marea ha oramai sommerso così mi rituffo e riprendo a lottare. A volte poi un chiodo mi fa l’occhiolino tentandomi con la sua presunta solidità ma io resto lontano dall’amo e alla fine esco dalla struttura forse proprio quando la tentazione si è fatta quasi irresistibile. La fessura seguente è una specie di passeggiata che mi godo gongolandomi per la prestazione: VII+/VIII- su chiodi a vista! Certo, le protezioni sono ascellari ma parliamo comunque di pezzetti metallici infilati in una sottile fessurina: insomma, mi sento la via in tasca e contemporaneamente una miniatura della fontana di Trevi! In attesa quindi che Cece mi raggiunga e prosegua lungo l’ultimo tiro impegnativo, ho quindi modo di calmare i miei bollori e studiare il tiro seguente. Quando riprendo ad arrampicare, con la corda dall’alto, mi sento spavaldo e con pochi movimenti aggraziati, esco dal duro: oramai il VII flash da secondo lo padroneggio come un pasticcino!


Cavallo Goloso


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