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LAVORARE CON LENTEZZA – PRECIPIZIO DEGLI ASTEROIDI

sabato 12 luglio ‘14


Lavorare con lentezza. Camminare con foga. Azzerare con frequenza. Evitare l’acqua con rapidità. Fare le doppie con palpitazione.

All’inizio si doveva andare in Grignetta: il tempo continua a essere irreparabilmente cattivo e, di conseguenza, quelle che dovrebbero essere le mete del periodo o sono seppellite sotto la neve o sotto fulmini e saette. Sono pronto per la nuova avventura o forse più a sghisare per l’ennesimo tiro da Ulk di Carate quando Cece mi chiama dicendomi che invece si va in valle: pazzie di questa estate autunnale! L’idea da un lato mi alletta e ingolosisce ma dall’altro mi fa cagare nelle mutande: non so se sono pronto per una tale sfida ma comunque ora è presto per iniziare a preoccuparsi, ci si penserà domani! Preparo il solito zaino da big wall dimenticando ancora una volta l’antizecche e poi inizio a camminare. A dire il vero l’avvicinamento è quasi facile, soprattutto se confrontato con quello per raggiungere la cengia del Precipizio anche se siamo solo poco più a destra dell’attacco di Anche per Oggi. Superiamo una coppia di teutonici e dopo qualche metro di fisse raggiungiamo la zona dell’attacco. Poco dopo, i due ragazzi ci raggiungono: avranno certamente sbagliato! E infatti, dopo un paio di battute in itanglisc, mi sembra di essere tornato alla Boga! Insomma, una via che non deve avere molte ripetizioni in un anno, vede già 6 pretendenti alla base! Bastano però pochi minuti e probabilmente la nostra agguerrita presenza nonché fama, per distogliere il tedesco e convincerlo che forse sia meglio continuare a festeggiare il 7 a 1 sul Brasile con la sua tipa. Così ci troviamo nuovamente soli. Inizia Colo: supera il difficile passo d’entrata e poi sparisce dai nostri sguardi. I minuti passano che sembrano ore, la via mi pare il classico palo, solo che questa volta è una verga dalle dimensioni ciclopiche. Poi Colo riappare, si incastra in un diedro spiovente e, poco dopo, raggiunge la sosta. Mimmo lo segue, rincorso da Cece e, alla fine, dal sottoscritto. La lunghezza successiva è un po’ più facile e riesco anche a scalare gran parte del diedro in libera! La roccia è uno spettacolo e la fessura non troppo esigente: è il giusto grado di impegno con un pizzico di brivido senza esagerare. La pausa però dura poco: lo strapiombo del terzo tiro ci accoglie fregandosi le mani e con un ghigno beffardo che gli traversa il volto. Aspetto che la corda si tiri e poi inizio a salire: ho addirittura l’ambizione di scalare in libera, tentativo che mi vede ben presto a molleggiare sulle corde; staffare, staffare, staffare e poi tirare: questa è l’unica ricetta possibile! Certo che non è come fare la pasta al pomodoro: nonostante sia tutto già posizionato, ho il mio bel da fare per superare l’intricato tetto e, quando arrivo alla sosta, sono il quarto che sbuffa e ansima. Verdura, ortaggi e frutta: l’essenza della lunghezza seguente è, almeno in partenza, questo. È uno dei tiri più semplici (l’altro dovrebbe essere l’ultimo) e infatti azzero solo i primi metri: sarà che sono imballato, svuotato di energie ma pieno di acido lattico per il tiro precedente ma non riesco a fidarmi dei piedi. Mi ricorda i camini della Cassin, solo che là di erba non c’è nemmeno l’ombra. Esco dall’orto, supero la bella fessura successiva e poi mi impantano le scarpe nelle alghe prima di raggiungere la sosta sotto il tetto.

Il cielo ringhia nel suo grigiume: verso il Disgrazia sembra che piova. La camera di consiglio che si apre in cima alla quarta lunghezza è lunga e pullula di punti di domanda. Non sappiamo se arrischiarci e continuare il salto nell’ignoto sapendo poi che la discesa non sarà per nulla banale oppure lasciare perdere e iniziare a riguadagnare la base. Alla fine la seconda opzione ha la meglio. La doppia dal tetto è una lotta nel tentativo di restare attaccati alla parete: la voragine si inabissa a distanze siderali costringendoci a lavorare ancora una volta di braccia per non perdere il contatto con la roccia. Poi, alla fine, ci troviamo nuovamente alla base: resta solo la breve fissa marcia prima di poter congedare la signora in nero!

Alla fine ci va anche bene: nonostante il boato che scoppia sopra le nostre teste, l’acqua inizia a scendere con timore, quasi volesse scusarsi per la sua inopportuna presenza. Tanto oramai la frittata è fatta: non che mi dispiaccia riuscire a raggiungere la macchina quasi asciutto ma le scuse suonano molto come una presa per i fondelli. Intanto Lavorare con Lentezza se ne sta là in attesa che un giorno si torni a completare la sua seconda metà.


Cavallo Goloso


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