CASSIN – BADILE
mercoledì 6 e giovedì 7 agosto '09
Un pensiero ed un sentito ringraziamento al Grande Vecchio dell'alpinismo italiano che ci ha regalato questa salita dalla quale sono uscito lo stesso giorno in cui lui si è riunito ai compagni con cui, nel lontano '37, ha superato quella lavagna fino ad allora inviolata.
Quando sento Colo al telefono la mia idea è quella di stare via un giorno o al massimo due; ascoltate le mie proposte, cerca di convincermi per la Cassin al Badile ma invano: appena sento pronunciare quel nome sono proiettato ai piedi della parete, al cospetto di quella nord est che tanto mi ha fatto penare. Sono anni che quella lavagna mi ha stregato ed io invano cerco di sedurla: ogni volta che mi trovo al suo cospetto, lei è lì, insensibile alla mia brama di salirla.
Devo cogliere al volo quell'occasione e, certo, non me la lascerò sfuggire di mano! Così mi ritrovo, il mercoledì pomeriggio, ad arrancare sul ripido sentiero che porta al Sasc Furà senza sapere dove passeremo la notte: il rifugio rigurgita infatti di avventori e noi non sappiamo se trascorreremo la notte sui tavoli della sala da pranzo o, peggio, direttamente all'aperto. E quando oramai ci siamo rassegnati all'idea di dormire sotto le stelle, la gestrice riesce a liberarci un tranquillo angolino nel sottotetto dove passeremo la notte come pascià.
Alle 4 le nostre pile illuminano il sentiero che si inerpica tra gli abeti; al rifugio è un brulicare di alpinisti che consumano la loro colazione in attesa di entrare nel vivo dell'avventura. Siamo davanti e quindi non dovremmo incorrere in problemi di sovraffollamento lungo la parete, ma appena lasciamo l'ultimo albero, lentamente, spuntano da ogni dove piccole luci. Sembra il ritrovo per una qualche pratica segreta: gli adepti, nascosti dietro ai grossi massi, abbandonano guardinghi i loro rifugi e si avviano verso la meta formando una lunga colonna che sale verso la parete. In realtà, la situazione è decisamente meno poetica: tutti ambiscono alle posizioni di punta, così da evitare un bivacco all'addiaccio che, visto l'affollamento, incombe come mera realtà su chi chiuderà il serpentone.
Superati un paio di piccoli nevai e raggiunta la cengia che ci porta al diedro Rebuffat, siamo proiettati nel cuore pulsante della parete; alla fine della salita, non potremo certo parlare di vera avventura considerato l'affollamento (20 o 25 cordate impegnate sulla Cassin o forse anche più) ma comunque di piacevoli momenti di alpinismo, condivisione e paziente attesa.
Trascorreremo la salita con un paio di cordate provenienti dalla Repubblica Ceca, a cui se ne aggiungerà una terza verso la fine, poi una coppia di francesi nella parte bassa, due amici austriaci in quella alta e due polacchi nella sezione centrale. Insomma, l'Europa sembra aver deciso di riunirsi su questa lavagna Svizzera salita per la prima volta da un gruppetto di italiani: le voci e i comandi si mescolano lungo i tiri e in sosta, durante le lunghe attese, si trova il tempo per scambiare quattro parole, per allungare una fettuccia all'ultimo arrivato che si aggiunge alla folla che intasa la sosta.
Superiamo molto rapidamente la prima metà della via, nonostante la lunga attesa alla base dei primi tiri di sesto. Quando finalmente riesco a superare quella placca lavorata non posso non pensare alla maestria e all'audacia di Cassin che più di 70 anni fa andava incontro all'ignoto armato solo della sua tenacia.
Ricordo in particolare il difficile diedro di sesto superiore nonché la prima lunghezza in camino che mi ha creato non poche difficoltà non essendo abituato a questo tipo di progressione. Stando all'esterno della struttura la salita risulta più agevole, ma impossibile da proteggere e, di conseguenza, mi infilo nelle viscere di questa spaccatura strisciando e incastrandomi contro le sue pareti finchè, esausto, non raggiungo la sosta. Poi le ultime lunghezze sono un piccolo viaggio che ci riporta dall'ombra in cui siamo caduti nell'ultima ora, al sole che illumina lo spigolo.
Nuovamente incolonnati, superiamo l'aereo divisorio tra le due pareti nord e, finalmente, raggiungiamo l'obelisco che segnala il punto più alto di questo montagna.
Optiamo per la discesa verso la Gianetti da cui, l'indomani, ritorneremo in Bondasca superando il passo del Porcellizzo e quello della Turbinasca. Ma c'è ancora il tempo perchè le corde si impiglino lungo la penultima doppia costringendoci a salire lungo una facile cengia per riuscire a liberarle. E poi raggiungiamo il rifugio. Ingenuo, penso di aver terminato le fatiche della giornata dopo circa 16 ore dalla partenza dal Sasc Furà, ma Colo mi lancia una proposta: e se scendessimo a San Martino per poi farci venire a prendere il giorno successivo?
Così alle 9 di sera riprendiamo la lenta marcia verso valle. Mentre camminiamo nuovamente alla luce delle frontali, volgo lo sguardo verso la sud del Badile: dalla metà della parete e dalla sua sommità si scorgono alcune luci che appartengono ai ritardatari della Cassin.
Procediamo fino al pianone, poi ancora più giù: più che la stanchezza per la giornata, pago un forte sonno che mi rende pesante le palpebre, così, poco prima delle 11 ci fermiamo per dormire. La placca che abbiamo scelto come giaciglio non offre però riparo dall'aria che scende dalle cime circostanti, così verso mezzanotte siamo nuovamente in movimento. Ancora assonnati, raggiungiamo le terme dove un paio di sedie a sdraio rappresentano un irresistibile invito a fermarsi. Sonnecchieremo fino alle 5, per poi riprendere la strada per San Martino dove ricadiamo per un'altra ora nelle braccia di Morfeo comodamente sdraiati sulle panchine della piazza.
Cavallo Goloso
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