GOODBYE MOIRA – CORNO LINO
domenica 14 gennaio ‘18
Sono combattuto: da un lato mi stuzzica l’idea di andare in Antimedale o in Medale per poter dormire oltre quel pigro del sole, dall’altro corro il rischio di andare a ripetere qualcosa di già fatto. D’altra parte l’alternativa scovata sulla guida del Bertolotti richiederebbe l’abbandono del piumone quando Apollo ancora ronfa alla grande ma sarebbe anche un posto nuovo da aggiungere alla mappa personale caiana. Così mi faccio tirare tra pigrizia e voglia di novità finché quest’ultima da lo strattone finale e mi porta definitivamente dalla sua parte.
Superiamo Boario Terme paese all’apparenza stimolante come una sera nebbiosa di novembre e poi ci inerpichiamo verso la parete che sembra lottare contro la vegetazione imperante: almeno in questo l’ambiente mi risulta famigliare. È come andare sulle pareti sopra Lecco: da sotto ci si domanda se sia più utile la serie di friend o il decespugliatore ma, quando si scala, ogni dubbio si dissolve e si scopre che, a volte, potrebbe essere meglio un po’ di malta! Fa un freddo pungente e le nuvole velano l’arrivo del sole ma ci carichiamo lo stesso gli zaini e iniziamo la passeggiata nel bosco. Credo che quando imparerò a informarmi sulle condizioni meteo con la stessa solerzia con cui nei fine settimana mi vado a ficcare in qualche casino, sarò finalmente dipendente dell’Inps! Scongelati dopo la breve sfacchinata arriviamo quindi a ridosso della parete, una specie di coacervo di roccia e arbusti con la prima che non sembra per nulla male mentre l’arroganza dei secondi sfiora quasi il ridicolo vista la loro stitichezza. Individuiamo il presunto attacco e, dopo aver rincorso la palla del piumino e per un attimo essermi domandato se venire nel bresciano debba per forza tradursi in un salasso economico, iniziamo ciò per cui la sveglia mi ha buttato giù dal letto alle 5.
Parte il Jag ma l’istinto caiano di puntare verso l’alto lo porta fuori strada: d’altra parte potrebbe non essere così chiaro che già al primo arbusto bisogna svoltare a destra. Il risultato è che mi spedisce un pacco di calcare lungo una ventina di centimetri che si va a frantumare alcuni metri più a destra e in basso rispetto a dove mi trovo. Al terzo tiro sono io a modificare la via mentre mi sorgono dubbi sulla voglia di burlarsi degli apritori: prima trovo un cordone intorno ad un sasso che dondola come un dente da latte subito prima di cadere e la cui conseguenza era l’arrivo del topino delle 1000 lire mentre ora rischio l’effetto shrapnel; poi, più avanti, è la volta di un chiodo con la stessa apparente tenuta della mela di Newton. Fortuna vuole che in entrambi i casi riesco a piazzare due solidi Camalot e evitare, in caso di volo, prima di lapidare il Jag e poi sfracellarmi sulla placca imitando il pendolo di Galileo. Comunque, come da previsione, il chiodo salta appena inizio a recuperare le corde mentre osservo lo zoccolo e attendo che l’orchestra inizi a suonare la musica per il vero ballo. Finita anche la ribollita alle mani mi avvio quindi sulla stupenda placca del quarto tiro mettendo alla prova gli investimenti fatti sulla plastica del milanese. Riesco a salire a vista là dove un tempo non mi sarei posto alcun problema a mungere e staffare finchè arrivo ad un chiodo e, evidentemente, al passo chiave. Mi domando se il ferro sia il gemello di quello sotto. Condivido il dubbio col Jag e poi lo testo: sembra solido. Mi ricordo poi (ma a dire il vero non è poi così difficile!) che sono ben oltre il limite umano, su una difficoltà da extraterrestre e così agguanto il rinvio e piazzo il seguente sul fix cordonato. Sopra ho il nulla: nessuna protezione, nessuna possibilità di integrare e, soprattutto, nessuna presa o appoggio degni di tal nome. Che la nostra avventura debba già terminare? Non ci penso nemmeno: tiro fuori il cordino risolutore, staffo, afferro una micro tacca, mi alzo sul fix, raggiungo una tacchetta e da lì esco nel soprastante e accogliente facile diedro.
La lotta contro la parete però è tutt’altro che finita. Al sesto tiro ho le visioni di Hemmental Strasse tanto le dita si sono trasformate in pezzi di marmo: all’inizio mi ostino a salire in libera ma poi mi stufo di martellare le estremità contro la roccia e alla fine mi appendo. Il tiro seguente è un’esperienza decisamente peggiore: provo il passo duro ma tra freddo e prese bagnate mi convinco a mungere il bellissimo rinvio per poi sparire dalla vista del Jag. Mi trovo così su una cengia a capire come superare il muretto aggettante senza rischiare di rimbalzare sul ripiano. L’unica soluzione sembra tirare l’ennesimo fix e agguantare un chiodo da ghiaccio evidentemente rubato a Giancarlo Grassi e usato a mo’ di picchetto in un buco marcio. Insomma, un vero bijou stabile come il seggiolino dell’altalena. Lo tiro o non lo tiro? Lo tiro o non lo tiro? Il dilemma destabilizza la mia già scarsa sanità mentale ma alla fine convengo che attaccarmi al ferro sia la soluzione tutto sommato meno rischiosa. Il pisello non esce dal buco e io mi salvo al fix seguente. Qualcuno però non ha ancora smesso di divertirsi: in qualche modo (tirando cioè tutto quello che mi si para davanti) arrivo alla placca della morte, una lavagna estremamente lavorata ma senza alcuna protezione. Inizio a salirla ma le corde sono di un’altra idea: mi pare di tirare su un TIR che viaggia in retromarcia e così inizio a sbraitare “corda! corda!” come se non ci fosse un domani. Solo che la comunicazione verso il basso è come quella tra due muti e mi ci vuole non poco per capire che i due cordoni ombelicali si sono incastrati da qualche parte tra me e il Jag. In tutto questo però dev’essere la mia giornata fortunata perchè ho davanti una fessura con clessidra e cordino sfruttando i quali allestisco una sosta a friends quasi da manuale caiano. Recupero il Jag e poi lo invito a portarmi fuori dalla parete. L’amico accetta avendo poi modo di divertirsi sulla classica uscita per rocce instabili e erba scivolosa che ci deposita sull’insignificante vetta del nulla dopo un’appagante e, soprattutto se fatta con temperature un po’ più miti, piacevole scalata.
Cavallo Goloso
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