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EDELWEISS – TORRE CRISALVA

sabato 07 luglio ‘18


Credo di essere arrivato alla fase discendente della parabola, sarà l’età. Tiro, tiro la corda e poi, ad un certo punto, ho più stimoli a starmene a dormire piuttosto che ad alzarmi quando il sole ancora sonnecchia. Oddio, forse per un non-caiano, il mio concetto di “dormire” rasenta la blasfemia e, in ogni caso, è solo un momento per ricaricare le batterie e affrontare un’altra infilata di settimane a mille all’ora. Questa volta la discesa capita quasi a fagiolo: in quota sembra si possa andare a fare solo i pinguini e poi alla sera sono invitato a scroccare la cena così ne approfitto per proporre a Gughi di tornare là dove ancora aleggia il puzzo di morte.

Mi sento un po’ strano ad osservare il punto del volo, a ricordare il momento in cui sono rimasto appeso ad un tiro di schioppo dal prato. Credo sia la stessa sensazione del reduce che torna a far visita ai posti dove ha combattuto. Questa volta però mi limito ad girare lo sguardo sulla parete, fantasticare su una possibile linea per poi mettermi alla caccia dei fix di Edelweiss.

Se dovessi fare affidamento sulla vista da aquila del Gughi, penso potrei centrare in pieno il muro del pianto a Gerusalemme. D’altra parte se lui dovesse affidarsi alle sole mie indicazioni, probabilmente non riuscirebbe a trovare un filo d’erba nella campagna inglese! Poi ho dalla mia l’indubbio vantaggio di essere già stato da queste parti e avere una vaga idea su dove debba passare la linea e così, alla fine, riesco a scovare la prima piastrina e iniziare a scalare. Mi bastano i primi passi per capire che ho completamente sbagliato l’approccio: mi aspettavo una via da FF e invece intuisco che qui dovrò lottare e non poco. Già sui primi movimenti in placca infatti la via mostra un inaspettato caratterino così, mentre il sottoscritto se la deve vedere con l’ennesimo rompicapo arrampicatorio, il Gughi impartisce lezioni al solerte e interessato escursionista sulle dinamiche di funzionamento della tecnica assicurativa; non sbraito né inveisco verso il basso solo per mantenere un certo ritegno e perchè, sulla carta, il tiro dovrebbe essere facile. Ma è soprattutto sulle due lunghezze seguenti che devo guadagnarmi metro su metro. Inizio con un muro verticale a buchi che mi ricorda vagamente Hemmental Strasse e poi, quando la parete si appoggia un po’, inizio a vedere i sorci verdi sotto forma di spalmate tendenti all’estremismo. D’altra parte, come saccentemente pontifica l’ennesimo escursionista di passaggio, sono solo su un quinto perchè, da queste parti, ci sono solo vie su queste difficoltà! Sarà. Mentre quindi mi domando se il tipo prenda le informazioni dall’enciclopedia di topo Gigio, punto ad una buona presa che dovrebbe tirarmi fuori dagli impicci. Appena però faccio leva verso il basso, questa si stacca dalla parete e precipita a valle. Ora il tiro sarà di quarto ma intanto io mi metto a rincorrere il pezzo di roccia finchè la corda non si tende lasciandomi appeso come un salame. Fortunatamente l’appiglio non è essenziale per andare oltre così lotto con gli ultimi buchi prima di raggiungere la sosta. Sulla partenza della terza lunghezza, non mi pare di essere al Wenden poi mi diverto con una lama rovescia a scoprire quanto tempo gli avambracci impieghino per diventare come quelli del David di Michelangelo finchè finalmente mi ribalto sopra lo strapiombino per poi raggiungere la sosta. A quel punto ci resta solo l’ultima lunghezza e, siccome la via al massimo arriva al quinto, questa, nella nuova scala stitica, deve aggirarsi sul terzo superiore e infatti, immancabilmente, riesco a vedermela grigia pure qui prima di riuscire a buttare le doppie e rientrare al parcheggio.


Cavallo Goloso


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