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CASCATA DI VHO – VALLE SPLUGA

sabato 26 febbraio ‘11


Lasciamo la strada per Madesimo incuneandoci tra le vecchie case di Vho: delle cascate sul versante orografico sinistro non c’è più traccia e ci chiediamo se non fosse stato meglio caricare le scarpette al posto di picche e ramponi. Ma oramai siamo diretti a boh e ci proseguiamo.

Passiamo il primo nucleo di case e, per una strada che a mala pena è sufficiente per l’utilitaria di Ema, raggiungiamo il secondo agglomerato dove veniamo accolti dai ringhi di due cani idrofobi. Un grosso esemplare nero dal pelo rasta ci gira intorno mentre mi barrico chiudendo la sicura della portiera: se dovesse aver imparato ad aprire le maniglie, farebbe di noi dei succulenti hot-man!

Proseguiamo sulla strada e i cani tornano da dove sono venuti. Sbaraccato il materiale e cambiato il suo mezzo di trasporto (dal bagagliaio alle nostre schiene) ci inoltriamo nel bosco tenendoci alla larga dal territorio dei due diavoli inferociti.

La cascata è bella: incassata in una stretta gola ma è un po’ troppo cascata. Il poco ghiaccio presente non è scalabile e così decidiamo di proseguire per il pendio boschivo fino a raggiungere un punto dove poter sfoderare picca e ramponi.

Veniamo così a conoscenza con il primo problema della giornata: siamo in tre e non possiamo certo ricorrere al metodo scientifico di carta-forbice-sasso. Ma il gongolante Fabio ha già la soluzione: mano nera, mano bianca! E così ecco tre caiani adottare metodi che farebbero rivoltare nella tomba i padri fondatori del sodalizio: la prima votazione va a vuoto e tiro un sospiro di sollievo. Ma alla seconda la sorte beffarda spara il suo colpo colpendo il sottoscritto. Dopo l’ultima esperienza, mi sento sicuro come fossi in compagnia dei due cani idrofobi e ovviamente scelgo la via più facile rispettando il Detassiano principio del cercare il facile nel difficile.

Superato un albero inglobato nel ghiaccio, proseguo fino a raggiungere le percussioni di questa insolita orchestra naturale: il ghiaccio suona a vuoto come se scalassi sui tamburi, mentre sono accompagnato dalla musica dell’acqua che scorre sotto la coltre gelata. Recupero gli altri due e riprendo la marcia facendo attenzione a non rompere la pelle delle percussioni. Sono in corrispondenza di una pozza gelata e devo allestire una sosta ma, nel punto in cui mi trovo, non sembrano esserci valide possibilità. Forse al di là della pozza. Boh? Provo. La pozza è piccola ma evidente: la neve che ricopre lo strato di ghiaccio è perfettamente orizzontale; a sinistra non mi sembra si possa proseguire e quindi non mi resta che tentare la sorte sulla destra. Appoggio delicatamente il piede destro: la base sembra reggere; carico il piede e sposto delicatamente il sinistro in avanti. Anche qui sembra che tutto fili liscio. Carico il peso ma il ghiaccio si rompe facendomi affondare fino a metà gamba. Torno immediatamente indietro ma la lastra ghiacciata si rompe definitivamente e io affondo fin quasi alla vita! Sono immediatamente proiettato in quei film sull’Alaska dove il protagonista finisce in un lago gelati. Maledetta televisione! Sono immediatamente fuori dall’acqua mentre urlo ai miei compagni il bagno fuori programma. I due in basso si mettono a ghignare. L’unica cosa da fare è cercare di eliminare più acqua possibile e così, tolti ramponi e scarponi, sfilo e strizzo i calzettoni. La situazione è meno tragica di quanto mi fossi figurato nonostante i piedi si trovino ancora in un acquario; piazzo due chiodi in una fessura muschiosa e recupero i due ridanciani compagni d’avventura.

Carta-forbice-sasso da la sua sentenza: Fabio davanti e noi a seguirlo; opta per passare da sinistra saltando su un sasso che non avevo individuato superando così la pozza. La soluzione non mi convince ma sono comunque costretto a sperimentarne l’efficacia e a riprendere a scalare sui tamburi raggiungendo così la fine della cascata.

La discesa per ripido pendio ci riporta alla macchina mentre guardinghi ci assicuriamo di evitare un incontro con le belve di satana. Barricati in auto, riprendiamo la strada di casa dopo aver scoperto che, fin dalla partenza, avevamo in tasca la chiave della salita. O meglio, Ema aveva nello scarpone la chiave del proprio garage!


Cavallo Goloso


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