racconto delle cascate di silvaplana, engadina (grigioni)


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CASCATE DI SILVAPLANA – ENGADINA

domenica 09 gennaio ‘11


Sono terribilmente in ritardo sulla pubblicazione delle mie scorribande sull’arco alpino. Ho poi un mucchio di arretrato tra relazioni da preparare e foto da pubblicare. Sono giorni che continuo a scrivere parole su parole senza avere nemmeno un minuto per ronfare in santa pace sul carro bestiame che ogni giorno mi porta nella città della disperazione (Milano). E per di più non mangio le Fiesta! Non posso quindi biasimare la musa ispiratrice che inizia a mostrare evidenti segni di cedimento: ma del resto, continuare sempre e solo a scrivere della lotta con l’alpe, dell’epica conquista di una vetta, insomma dei massimi principi del caianesimo, farebbe ammutolire anche la fantasia di Tolkien! Eppure anche questa volta, sono qui a battere i tasti consunti della tastiera nella speranza che dall’accozzaglia di lettere possa scaturire un racconto sensato. Alla peggio, potrà essere usato come ottimo rimedio contro l’insonnia.

La vetta. Il mitico miraggio della cima; l’obiettivo principe e ultimo dell’alpinista; la risposta alla fatidica domanda che rintocca la domenica mattina tra i muri delle case di ogni escursionista “ma perchè? Perchè?”. Beh a noi di ‘sto principio caiano non ce ne frega alcunchè. Almeno oggi. Ma poi la vetta cos’è? La cima dell’Everest? Il Monte Bianco? Lo Scoglio delle Metamorfosi? La collina dietro casa mia? La catena di un monotiro? La fine di un blocco? A furia di filosofare sui massimi sistemi caiani potrei arrivare ad affermare che la vetta, per un accanito mangiatore, potrebbe essere la punta consunta delle proprie forchette di legno. Forse sto strippando: il cervello va in gondola; sarà il fritto dell’altra sera a casa di Fabio, ennesima conseguenza dell’esperienza domenicale e dell’autolesionismo (almeno in questo rimango profondamente caiano, direi caiano-romantico)!

Ma del resto il cascatista deve un po’ volersi male: svegliarsi ad orari improponibili, arrancare nella neve fino alla cintola, prendere freddo trasformandosi in un prodotto Findus potrebbero essere ottimi motivi per indossare una camicia di forza. Ma io non sono così. Noi non siamo così. Oggi facciamo i Froci Cascatisti! Si, perchè dopo l’FF, l’FFMilanese, l’FFMilaneseBoulderista (feccia) e l’FFMilaneseBoulderistaPlasticaro (feccia della feccia) c’è anche l’FC. Il dazio alla sveglia dobbiamo comunque pagarlo, ma del resto questo è scritto nel DNA del Cascatista, ma almeno ci risparmiamo la navigata nella neve fresca.

L’unica cosa certa è la meta: le Alpi. Le Alpi Centrali. E poi basta. Maledetta guida: potremmo andare di qua, potremmo andare di là, si potrebbe salire... Fatto sta che solo in macchina decidiamo dove andare a far danni con le picche: Engadina. Si, l’Engadina è grande, però è già qualcosa e poi, una volta arrivati si vedrà cosa salire. Fa caldo, terribilmente caldo e nevischia costringendoci a fare i meccanici da F1 per montare le catene: se solo i laghi non fossero gelati, avremmo potuto usare l’idrovolante per raggiungere St. Moritz.

Fatto sta che, guida che ti guida, il Cece-autista parcheggia la macchina sopra Silvaplana. Scarichiamo tutto il materiale allestendo una bancherella nello spiazzo del parcheggio: dobbiamo solo stare attenti a non perdere nessun chiodo o spaiare le scarpe. E poi leggiamo la guida: individuare un albero con cordoni da cui ci si cala sul fondo del canyon. Ora, se fossimo al Gran Canyon, potremmo anche dire: ci sono tre alberi in croce, diamo un occhio veloce e individuiamo quello che ci interessa. Ma noi, al confronto, siamo nella foresta equatoriale, nel cuore del Borneo; manco fossimo sull’idrovolante potremmo tirare fuori un ragno dal buco!

Ma siccome siamo FC, ci buttiamo come un’orda di nani boscaioli taglia-tutto nel bosco badando bene di progredire esclusivamente verso il basso. Non sia mai che, avendone la possibilità, noi si vada verso l’alto. Almeno durante l’avvicinamento. Ovviamente la pianta della guida non la troviamo. Ma del resto siamo in Amazzonia. Se solo fosse passato prima di noi quel tiroso di Fraclimb: avrebbe relazionato albero per albero, come nella battaglia navale, e noi avremmo individuato facilmente il nostro pino. Si, che poi non sono pini, ma abeti, ma tantè. Scegliamo il nostro albero sacrificale e raggiungiamo il fondo della forra.

Sembra di essere in Scozia: il nevischio si impatacca alle pareti rocciose come al Ben Nevis, mentre le cascate più appoggiate sono in parte ricoperte da un sottile strato di zucchero a velo.

Perdo a carta-forbice-sasso. Che culo! Veramente: che culo! Anche solo salendo da secondo faccio il FCMilaneseBoulderistaPlasticaro, cioè quello a cui la gambetta inizia a ballare il tango appena si alza due centimetri da terra. Se potessi, userei una terza picozza con i denti mentre volentieri mi farei parancare verso l’alto. Per me Fabio oggi ha fatto un capolavoro: da lì non sarei certo salito da primo! La cascata intanto piscia che è un piacere: più che il caschetto sarebbe tornato utile il boccaglio. Non che a Cece e Colo vada tanto meglio: sulla loro cascata tornerebbe molto utile una serie di asciugatrici o almeno un retino da pesca per catturare i salmoni.

In ogni caso sono sicuro che mi rifarò nei confronti di Luca, alla sua prima esperienza con le cascate. E infatti, smentendo ogni mia più rosea e codarda previsione, il neofita mi lascia di sasso per la maestria con cui sale il rivolo ghiacciato tanto che, su una linea più semplice, ci condurrà fino alla vetta. Mi sentirei più a mio agio in mezzo ad un branco di leoni idrofobi piuttosto che in questa gola. Tra l’altro non riesco più a sopportare quel gruppo di folletti blu che continua a salire e scendere dalla cascata come se camminasse sul lungo mare di Riccione. Se non raggiungo quanto prima la fine della cascata, credo che potrei commettere un folletticidio!

E poi dalla prigione-forra bisogna anche fuggire: sono completamente nelle mani di quegli aguzzini dei miei amici. Mi sento come un grassone panzone impedito mentre arranco sull’ultima linea: se solo fossimo venuti in idrovolante. Mi sarei fatto venire volentieri a prendere. Anche se il pilota fosse stato un nazista. Magari pure ubriaco fradicio.

E invece mi tocca pure scavarmi la trincea nella neve per non farmi mancare un po’ di lotta con l’alpe. Maledizione, ancora con ‘sta fissa caiana: oggi sono FC, FCMilaneseBoulderistaPlasticaro!


Nota Bene

Il cervello non è completamente andato fritto, solo che, per poter pubblicare le foto, nel racconto dovevano esserci:

nani

folletti blu

asciugatrici

scarpe spaiate

forchette di legno

idrovolante pilotato da un nazista ubriaco


Cavallo Goloso


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