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CASCATA SEILER – ENGADINA

lunedì 03 gennaio ‘11


Siamo carichi come muli. O come due profughi: ci mancano solo le valige di cartone per sembrare due emigranti per le americhe! Per fortuna possiamo sfruttare la traccia del nostro tentativo precedente così, annaspando sotto il peso del nostro bagaglio, entriamo rapidamente nel bosco. È già sera e non vedo l’ora di entrare al caldo del sacco a pelo. Individuiamo ben presto un posto dove piazzare la tenda al riparo dagli occhi della polizia svizzera e ben presto istalliamo il nostro campo. La cena prevede un’abbondante piatto di pasta ai funghi seguita da salamini, lenticchie e tonno. Insomma un bel remake dei pranzi natalizi prima di infilarsi a letto!

Devo lottare con un pezzo compatto di neve che mi massacra la spalla; inutile prenderlo a pugni: il blocco non fa una piega costringendomi a dormire in una specie di loculo più angusto dello stesso sacco a pelo. Poi individuo la posizione ideale a pancia in giù mentre, per la felicità di Fabio, inizio a tagliare più legna di una segheria dell’Ikea. Ben presto riempo la tenda rendendo l’ambiente invivibile e quindi sono costretto ad incastrarmi come un puzzle nel poco spazio lasciatomi dal maledetto blocco di neve compressa.

Poi la sveglia trilla; nonostante tutto, ho dormito abbastanza bene, senza gelarmi le estremità. Lo stesso non si può dire per la volta della tenda: sembra infatti di essere circondati da una polvere di cristalli di Swarosky. Avremmo dovuto respirare di meno. O forse si poteva aprire un po’ le porte della tenda per far circolare l’aria. Attendiamo che il sole sorga e poi sgusciamo dai sacchi-trappola dopo aver dilaniato un panettone senza alcun accompagnamento di liquidi perché non abbiamo lo sbatti di accendere il fornelletto e fondere un po’ di neve, visto che l’acqua nelle borracce è completamente gelata. La temperatura esterna è comunque accettabile, ma preferiamo rimandare al rientro lo smontaggio del campo e così, rivestiti di ferraglia come due alberi di Natale, saliamo lungo la traccia che porta alla Seiler. Questa volta individuiamo subito l’attacco e ripetiamo il rito di carta-forbice-sasso per definire l’ordine di partenza. Perdo la mia partita e mi accodo alla corda di Fabio che inizia il primo lungo tiro: il ghiaccio riserva qualche passo da cagarsi un po’ in mano tra suoni sordi e tratti in cui lo spessore si fa piuttosto ridotto. E poi arriva il mio turno: un bel salto intervallato da alcuni ripiani mi permette di superare la parte più impegnativa della salita. Ovviamente pesto le picche con estrema violenza facendole affondare il più possibile per poi affidarmi più ai due attrezzi che ai ramponi. Continuo a salire fino al termine del salto con il risultato che Fabio deve abbandonare la sicurezza della sua sosta prima che io abbia approntato la successiva; ma del resto mi voglio togliere quanto prima da quella zona poco gradevole, anche perchè il sole inizia a scaldare il ghiaccio già abbastanza morbido.

Le lunghezze successive sono decisamente più abbordabili, finchè arriviamo all’ultimo tiro. È ancora il mio turno di capocordata e ovviamente tento la linea più impegnativa lungo un breve salto verticale. Siccome però non sono capace e mi cago abbastanza in mano, inizio a piazzare i chiodi troppo vicini con il risultato che in pochi secondi sono bello ghisato. Come sbattendo contro un muro di gomma, vengo quindi rigettato all’indietro dall’ostacolo mentre decido di ripiegare sulla linea più semplice. Con le braccia doloranti, non vedo l’ora di guadagnare l’uscita di questa bella cascata che strizza l’occhiolino ai Palù finchè, finalmente, raggiungo la sommità della struttura. Sono piuttosto stanco, anche perchè la nostra pigrizia ci ha impedito di portare dei liquidi, ma il miraggio di una veloce discesa mi da la carica per affrontare l’ultimo tratto in neve fresca fino all’evidente traccia di discesa. Ma i miraggi sono solo delle proiezioni della mente che nulla hanno a che vedere con la realtà. E così ci troviamo a scendere lungo un infinito sentiero che si snoda nel bosco fino al limitare di Pontresina. E poi dovremo risalire al campo per smontare la tenda, sempre che non ci siano sgradite sorprese...

Fortunatamente la macchina è ancora al suo posto come il campo è nelle condizioni in cui l’avevamo lasciato, nel senso che la brina, evidentemente trovatasi particolarmente a suo agio nella tenda, è tale e quale quella che avevamo lasciato alla nostra partenza! Richiudiamo il tutto e ci avviamo verso casa dopo aver ingurgitato due wurstel accompagnati da un’imbevibile tazza di tè all’acqua frizzante!


Cavallo Goloso


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