GROSSHORN – VAL D'AVERS
domenica 17 marzo ‘24
Lo scialpinismo può essere una specie di droga che da una forte dipendenza? Beh, in alcuni casi, direi proprio di sì! Dopo la bocchetta Roma e relativo rientro alla macchina poco prima dell’ora di cena, probabilmente in molti avrebbero dato buca per l’indomani preferendo una bella seduta fisioterapica sul divano (o, perché no, direttamente a letto) o, nei casi più disperati (leggi il mio), a farsi bastonare in falesia. Invece la Laura è ferma, rigida, infoiata anzi, l’idea che una delle possibili alternative scialpinistiche non preveda nemmeno le 4 cifre di dislivello (oramai il minimo sindacale), la lascia piuttosto indispettita. D’altra parte le nostre potenziali condizioni, la presenza della da poco ex azzoppata Laura (quella dell’uscita al Salmurano di poco più di un anno fa) e il ritorno sulla scena scialpinistica dopo non so bene quanti anni da parte di mio papà consigliano di volare basso. Così mi viene in mente che in val d’Avers c’è il Grosshorn: nome altisonante per una salita che, in realtà, casca a pennello per le nostre esigenze - Che vai a fare? - - Il Corno Grande - che poi può diventare - Il Grosso Becco - o, addirittura - La Gran Becca - e qui l’equivoco è subito magnificamente confezionato con l’interlocutore che si immagina il caiano seguire le orme di Whymper al Cervino! D’altra parte l’importanza che i valligiani danno alla montagna è sottolineato dal parcheggio con tanto di evidente cartello “Grosshorn”. Un po’ come se mettessi fuori di casa l’indicazione “Fraclimb” per regolare il traffico dei fans. Il cartello sarebbe divelto dopo 5 minuti o il parcheggio resterebbe vuoto come un solarium in pieno Sahara. Almeno non abbiamo difficoltà a trovare il punto di partenza mentre una coda caiana inizia ad allungarsi sul pendio di fronte. Poi la fortuna finisce e, all’unico bivio, riesco a prendere la strada sbagliata. A mia discolpa ci sono le tracce di altri allocchi che mi lasciano sviare dallo stretto e ripido sentierino che scende al torrente e che, con l’assetto da salita, potrebbe velocemente trasformarsi in uno scivolo da acqua-park con annesso tuffo nel torrente. Oltre il fiume, è un dedalo di segni di salita e discesa sulla facciata del duomo di Pisa: la speranza è che il sole faccia la sua parte e ammorbidisca un po’ il manto marmoreo su cui gli sci rischiano inesorabilmente di scivolare all’indietro. Invece quello, man mano che saliamo, si lascia coprire da un sottile velo come se qualcuno avesse versato del latte in cielo e la neve continua a rimare quindi simile al marmo. Per il resto tutto fila come da copione: mio papà spinge regolare con l’apparenza di non volersi mai fermare, la Laura ex azzoppata segue a ruota cercando di arrotolare la lingua, io c’ho un buco nello stomaco che potrei inghiottire una mucca intera e la Laura sale domandandosi perchè non abbia accettato l’offerta della fisioterapia sul divano. Però alla fine in vetta ci arriviamo anche se questa più che un Corno (o una Becca) sembra un panettone con la ciliegina: un nome tipo Grosspanetthon sarebbe certo più appropriato ma forse, più che gli scialpinisti, attirerebbe un pullman di golosi ciccioni milanesi. Gustata così la nostra porzione di vetta, ci buttiamo sulla discesa con la luminosità da effetto vedo non vedo cui farei volentieri a meno soprattutto quando credo di avere una breve risalita davanti a me e, invece, gli sci continuano ad accelerare verso valle finchè convengo sia il caso di fermarmi perchè davanti dev’esserci solo un’allucinazione. La Laura invece si cimenta in un paio di salti mortali carpiati da far rabbrividire la Cagnotto e che destano non poco la mia preoccupazione: non è che ora che ha scoperto questo suo talento, mi toccherà iniziare a frequentare il mondo delle piscine?
Cavallo Goloso
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