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GRAN SERTZ, PUNTA NERA E PUNTA ROSSA – VAL DI COGNE

sabato 17 e domenica 18 aprile ‘10


La sveglia suona ad un’ora improponibile (4:30): non mi ricordo più quando è stata l’ultima volta che ho lasciato il tepore delle coperte tanto presto...

Ma Cogne non è vicina, c’è poi da considerare che dobbiamo compattare il gruppo lombardo-piemontese, insomma, conti alla mano, quell’ora impronunciabile è anche quella più appropriata. Ovviamente prima di iniziare la sfacchinata c’è il tempo per interrompere la via Crucis con due stazioni di rifocillamento presso altrettanti bar. E poi, sci in spalla, iniziamo la nostra sudata.

Siamo ricaduti in autunno: i colori sono quelli della stagione che precede il periodo più freddo dell’anno verso il quale ci stiamo lentamente dirigendo. Carichi come muli, continuiamo ad essere perseguitati dalla calura della pianura: coliamo come fontane, mentre gli occhiali appannati ostacolano la visuale.

Raggiungiamo il rifugio Sella poco prima dell’ora di pranzo e da qui riprendiamo la nostra marcia come prevede l’intenso programma della giornata: scammellata di 1900m secchi per raggiungere la sommità della Grand Sertz e quindi rientro al Sella. Mi sento fiacco e debilitato. Continuo a pensare alla necessità di allenarmi. Correre, correre, correre sono le uniche parole che mi rimbombano in testa. Poi mi accorgo che sotto gli sci si è appiccicato un ingombrante zoccolo nevoso che subito viene eliminato dalla lama del coltello. L’operazione, oltre a favorire lo scivolamento degli sci, mi permette di riprendermi almeno dal punto di vista psicologico e quindi di ritornare in testa alla colonna almeno fino allo scollinamento che precede gli ultimi 200m che ci conducono in vetta. Il sole intanto viene coperto da alcune nuvole e i primi solitari fiocchi iniziano a roteare nell’aria. La loro lenta danza è proporzionale al mio ritmo: l’unico che sembra impassibile al dislivello percorso è l’Ale o, meglio, The Machine! Mentre noi poveri mortali ci arrabattiamo trascinandoci verso la cresta finale, lui è già in vetta a salutare.

Finalmente lascio gli sci, inforco i ramponi e supero il breve tratto che mi separa dalla croce. Ammassati in 7 sul pianoro della cima, la vetta pare ancora più piccola di quanto già non sia: solo dopo le rituali foto a memoria del momento, torniamo sui nostri passi.

La neve non è male, ma io mi sento svuotato. Non ho indolenzimenti alle gambe, ma sento le forza mancare, tant'è che devo frequentemente interrompere la mia azione per riprendere fiato. Ma il bello dello sci è proprio legato alla rapidità con cui si perde quota e così intorno alla metà del pomeriggio siamo nuovamente al Sella. Plachiamo l’arsura con abbondanti bevute, anche con l’obiettivo non proprio celato di “stortare” il festeggiato di turno, in attesa della cena che colmerà il buco allo stomaco ridando sollievo al corpo.

Diversamente da tutti gli altri ospiti (caiani in testa e a ruota numerosi francesi), la sveglia domenicale ci consente di attardarci cullati dal tepore delle coperte: iniziamo la nostra lauta ed energetica colazione solo alle 7, quando quasi tutti hanno già abbandonato il rifugio. Ma noi confidiamo nel nostro “livello” e, soprattutto, nel dislivello di giornata: 1100m in salita e 2400m di discesa! Il Lele ha approntato un programmino niente male per questo week end trascorso a girovagare per le valli del Parco del Gran Paradiso.

Insomma, quando lasciamo il Sella, già diversi scialpinisti risalgono lentamente i pendii intorno al rifugio. Nonostante la faticata del sabato, mi sento abbastanza in forma e, dopo un primo tratto di “riscaldamento”,inizio a premere sull'acceleratore raggiungendo, al termine di un ripido pendio, il gruppo francese che ci precede. Come costituissimo una lunga molla, tra attese, ricompattamenti e nuovi inseguimenti, il gioco a rincorrersi si ripete fino in vetta: prima lungo un tratto ripido da tracciare, poi lungo il canale e quindi sul pendio finale dove ancora bisogna battere traccia. Sulla Punta Nera siamo completamente avvolti dalle nebbie: lo strato bianco della neve si fonde con il grigiore delle nuvole, diventando un unico elemento. Non distinguiamo praticamente nulla ma, fortunatamente, proprio all’inizio della discesa uno spiraglio ci consente di riconoscere la direzione da prendere. Cominciamo così a perdere rapidamente quota finché, complice il ritorno del sole e le condizioni del manto nevoso, a qualcuno viene l’idea di ripellare e salire la seconda cima di giornata: la Punta Rossa. Credendo di aver ormai terminato le fatiche della giornata, l’idea non mi aggrada granché ma alla fine mi ritrovo addirittura a battere traccia fino a raggiungere un breve tratto ripido ghiacciato. Sono bloccato: le mie lamine non scalfiscono il ghiaccio duro e quindi non riesco a proseguire. D’altro canto l’Ale, il Lele e il Sandro riescono, non so come, a superare il passaggio. Basterebbe calzare i ramponi, ma non ho voglia di pescarli dal fondo dello zaino. Passano i minuti mentre provo a passare più a destra, continuando a trovare, sotto un sottile strato di neve inconsistente, ancora ghiaccio vivo. Demoralizzato sto quasi per abbandonare ma poi l’orgoglio ha la meglio. Mi conosco: se non compio nemmeno un tentativo, la sera maledirò sicuramente il momento e quindi, pur con la consapevolezza che probabilmente non arriverò in vetta, infilo i ramponi. Sono solo pochi metri, poi posso rimettere gli sci: sfruttando la traccia di chi mi precede supero rapidamente il tratto che mi separa dall’ultimo breve pendio che conduce in vetta. L’Ale sta scendendo ramponi ai piedi: la coltre nevosa copre appena le pietre che costituiscono la cima rendendo impossibile la sciata. Mi fermo per l’ennesimo cambio mentre vengo raggiunto dal Lele e dal Sandro: abbandonati zaino e sci salgo quasi correndo gli ultimi metri fino alla croce di vetta. Come se non avessi nelle gambe il dislivello di questa due giorni, in pochi minuti mi trovo a fotografare la piccola croce di vetta, prima di ritornare, con lo stesso ritmo, sui miei passi ricongiungendomi con imiei amici.

Sci ai piedi riprendiamo la lunga discesa su un manto che fino ai primi alberi, si presenta in buone condizioni nonostante la calda giornata. Poi la “polenta”, complice anche una certa stanchezza, diventa quasi ingestibile, eccezion fatta per il pendio finale che ci regala ancora ottime condizioni nevose. Poi ritorniamo nel bosco dove, per l’ultima volta siamo costretti a infilare gli sci negli zaini per proseguire a piedi fino alla macchina.


Cavallo Goloso


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