DIAVOLEZZA – ENGADINA
sabato 24 novembre ‘12
Come dice il proverbio “chi non risica non rosica”. Sfrutto l’idea di un amico e mi metto a studiare la situazione della neve e delle piste in Engadina. Non siamo ancora a dicembre ma il fatto che alcuni impianti siano stati aperti già dal week end dei morti, mi da buone speranze di centrare l’obiettivo. E infatti le osservazioni a tavolino decretano che si potrebbe dare il la alla stagione scialpinistica ma comunque, memori dell’esperienza di un paio di anni fa, carichiamo in auto anche gli scarponcini da trekking.
Partiamo comodamente da casa e tranquillamente raggiungiamo la bella valle svizzera: alla nostra destra i pendii sono ben imbiancati mentre dall’altra parte dove batte il sole spicca ancora il giallo verde dei prati ma comunque non ci perdiamo d’animo confidando che in val Roseg ci sia la sperata coltre bianca.
Sento puzza di bruciato; c’è fumo ma niente arrosto. Parcheggio all’imbocco della valle e vado a dare un occhio: il pollo è completamente sparito, non c’è traccia neppure delle sue ceneri. Se salissimo da qui con gli sci, faremmo solo scintille sui sassi della sterrata. Questo è almeno lo scenario che mi si presenta davanti provo ad accedere all’imbocco della val Roseg. Riferisco la cosa a Micol proponendole di salire fino a Diavolezza dove sono quasi certo della presenza della neve. Il motore torna così a cantare finchè l’auto si ferma davanti la stazione della funivia. Il segugio questa volta ha fiutato giusto: davanti a noi il pendio ci appare finalmente imbiancato con una lingua ben pestata dal lavoro del gatto delle nevi.
Micol non sembra molto convinta mentre il sottoscritto è decisamente determinato e così in quattro e quattr’otto iniziamo lentamente a salire fino a raggiungere un neve particolarmente dura. Mi torna in mente il Piz Lunghin ma questa volta, forse perchè l’ambiente è più solare, forse perchè il pendio è meno ripido, riusciamo a superare il tratto impegnativo. Se non altro, la lezione torna utile per imparare a lavorare di lamine!
Il resto della salita scorre liscia come l’olio: Micol ha ingranato per benino e sale regolarmente sfruttando anche la neve compatta. Ci fermiamo a mangiare qualcosa e poi riprendiamo la marcia fin dove il tracciato, che finisce in ombra, diventa pianeggiante. Decidiamo quindi di togliere le pelli e iniziare la nostra discesa: d’altra parte non era nostra intenzione fare incetta di bollini anche perchè, come ho letto su un libro, “il VI grado viene superato solo dai migliori alpinisti e comunque non per lunghi periodi perchè logora la mente!”.
Le prime curve sono sempre un po’ legnose; bisogna far giù la ruggine ma l’importante è buttarsi. E così facciamo, pennellando non proprio come Picasso fino alla macchina.
Cavallo Goloso
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