racconto piz d'agnel, oberhalbstein (grigioni)


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PIZ D'AGNEL – OBERHALBSTEIN

venerdì 23 dicembre ‘16


Migliore organizzazione non potevo farla: “caianao fai da te? No Alpitour? Ahi, ahi, ahi!”. Per prima cosa sottovaluto l’infinita strada che mi separa dallo Julier: me la prendo con comodo, allungo anche un po’ le normale pratiche mattutine, non pigio eccessivamente sull'acceleratore per non dilapidare troppa benzina e alla fine, solo verso le 10, sbarco dall’utilitaria. Al parcheggio non c’è nessuna macchina: strano! D’altra parte, anche la bianca materia prima è piuttosto scarsa, giusto appena sufficiente per non dedicarsi allo sci d’erba e sassi! Inforco quindi i legni e mi avvio lungo la vecchia traccia superando la spalla della montagna e accedendo così in val d’Agnel che dovrò poi risalire fino al termine. Cosi, dopo poche sgambate, mi diventa ben chiaro per quale motivo la mia auto si trovi sola e soletta: il parcheggio giusto è infatti un paio di tornanti più in basso rispetto dove mi sono fermato! Pazienza: perdo un po’ di quota e inizio a ruzzare lungo il tracciato. Ben presto sono sotto al Campagnun: tiro diritto restando sul fondo valle e realizzando quanto sarà noiosa e poco appagante la discesa su un tracciato quasi pianeggiante e con una neve che già inizia a soccombere sotto l’attacco dei raggi solari. Non che la cartina non mi avesse avvertito, semplicemente non avevo dato il giusto peso alla cosa! Così mi avvio verso la Fuorcla d’Agnel passando nell’ombrosa vallata opposta mentre l’obiettivo che si staglia alla mia sinistra sembra farsi sempre più lontano. Derapando e scendendo con tipica tecnica di sopravvivenza, perdo i metri necessari per superare la fascia rocciosa finchè il laccetto che blocca la punta della pelle destra decide di salutarmi. Provo quindi a risolvere l’inconveniente con una soluzione di fortuna che però, ben presto, si rivela inefficace e così, mentre la distanza dalla cima e soprattutto l’orario consiglierebbero di girare i tacchi, seguendo l’istinto masochistico, mi carico gli sci in spalla e comincio ad avviarmi verso la base della lontana cresta. La passeggiata però ha breve durata, giusto il tempo di superare il tratto con neve portante e arrivare in una zona dove gli scarponi iniziano a sprofondare: sono stanco, demotivato e, in un certo qual modo, sento un po’ di malessere generale. Immediatamente mi pare evidente che le possibilità di raggiungere la vetta siano praticamente nulle a meno di non voler rientrare all’auto quando il sole è già uscito di scena, così mi volto sui miei passi e inizio a salire verso la sella. Da qui, in fondo, mi aspetta solo una comoda discesa che però ha ben poco a che vedere con una sciata: inizio infatti a perdere quota prima abbozzando una serie di curve mentre rimango comodamente seduto su una sdraio e poi lasciando correre il più possibile gli sci che però, ben presto, vanno ad arenarsi sui tratti pianeggianti; guadagnare la fine della vallata inizia così a diventare faticoso quasi quanto il percorso in senso opposto. Poi finalmente arriva il tratto finale: dovrei restare alto per poi seguire il pendio alla mia sinistra e evitare così di dover risalire al parcheggio ma finalmente sto iniziando a inanellare una serie di curve decenti e così, ingolosito da questo breve piacere, mi ritrovo sul fondo della valle per poi dover risalire sci in spalla verso la fortunatamente vicina auto.


Cavallo Goloso


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