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TRANSYLVANIA – MONTE CASALE

sabato 19 settembre ‘15


La grandinata di pietre arriva puntuale. Sono sotto lo zaino, l’unico riparo a disposizione ma, d’altra parte, non posso esimermi da questa mitragliata che, se non altro, rappresenta la porta per uscire da questa immensa parete. E pensare che meno di 8 ore prima eravamo con il naso all'insù domandandoci se saremmo stati capaci di uscire dalla via in un tempo ragionevole. Non immaginavamo certo di infilarci nel prato della signora in nero proprio il giorno dedicato al giardinaggio!

L’avventura parte un po’ per caso: nella mia disperata quanto tardiva ricerca di un socio per il sabato, riesco alla fine ad accordarmi con Colo per una non ben definita salita ad Arco insieme ad altri due caiani; insomma, l’ennesimo salto nel buio verso cui non nutro aspettative di dura lotta con l’alpe se non per l’orario di ritrovo fissato quando il sole se ne sta ancora comodamente a letto.

Riesco a farmi scivolare i discorsi del viaggio anche se, sentendo Colo proporre la via degli Amici al posto di Transylvania, inizio a provare un certo turbamento; se una linea con un nome che dalle nostre parti mette i brividi risulta più abbordabile del nostro obiettivo, verso quale mattatoio mi sto dirigendo? Ovviamente però finchè non mi trovo sul ring a combattere con un colosso che potrebbe schiacciarmi come fossi un moscerino, le mutande restano candide e l’idea di alzare bandiera bianca nemmeno mi sfiora. Alla fine quindi è deciso: si prova Transylvania anche se forse lo stesso Andrea non è pienamente convinto della sua stessa proposta! In ogni caso, ci imbrachiamo, infiliamo le frontali nello zaino (cattivo segno!) e partiamo alla volta della vicina parete. Dover camminare solo un’oretta per poi affrontare più di mille metri di via, non è cosa da tutti i giorni così, forse per la smania di scalare, superiamo il sentiero come fossimo inseguiti da una muta di cani idrofobi rallentando solo quando arriviamo alle catene della ferrata. Passiamo quindi sopra le teste degli altri avventori e, divorato l’avvicinamento come fosse un insignificante aperitivo, ci troviamo completamente soli a tu per tu con la via.

La parete non mi sembra immensa come la relazione vorrebbe lasciare intendere; esterno quindi le mie opinioni per poi non tardare ad imparare che sarebbe stato meglio starsene in silenzio. Mi focalizzo quindi sul bel tono di grigio della roccia che lascia intendere un calcare da urlo, tipo Wenden o Ratikon ma parlo ancora a sproposito perchè fin da subito il grip non è certo quello di Zambo mentre al secondo tiro la compattezza si mostra simile a quella di un puzzle mentre gli spit iniziano ad allungarsi a dismisura! E forse proprio l’inaspettata accoglienza è la causa del personale crollo sulle aspettative riguardo la riuscita della salita. Intanto però devo passare l’inutile materiale a Colo con un’operazione che si ripeterà sostanzialmente uguale per l’intera salita vista la quasi impossibilità di integrare le scarse protezioni presenti.

Dopo quindi un avvio un po’ macchinoso, iniziamo a darci dentro accumulando metri su metri ma senza vedere la fine di questa parete che sembra crescere come fosse la pasta della pizza. Intanto la signora in nero passa dall’uso della falce singola a quella con la lama doppia facendo roteare l’attrezzo all’impazzata. Praticamente è come camminare in un campo minato: bisogna solo sperare che l’appoggio resti lì dove si trova e non decida di provare l’ebbrezza del base jump! D’altra parte diventa anche decisamente chiaro che scendere in doppia dalla parete corrisponderebbe ad una passeggiata senza ombrello durante un acquazzone tropicale! Pertanto, l’unica scelta è continuare a salire e ben presto l’idea di calarsi smette di turbare ogni altro pensiero. Superiamo così il tratto su ghiaia che ci porta alla base della seconda parte della parete dove si concentrano le maggiori difficoltà tecniche della scalata. Il primo tiro sul limite umano, tocca al sottoscritto che chiude la pratica senza intoppi ma già al successivo la musica cambia: Colo non può anzi, non deve assolutamente toccare la lama rovescia! Praticamente è come se stesse scalando con una pistola alla tempia caricata con la metà dei colpi mentre io ne ho una con il caricatore pieno visto che sarei sulla traiettoria del frigorifero! Senza quindi sperimentare con metodo scientifico le nostre illazioni, alla fine, scampiamo sani e salvi dalla vigorosa falciata e ci concentriamo a raggiungere il tiro chiave. Sono ancora capocordata: Andrea è già in sosta e Ganfranco lo sta raggiungendo quindi, se proprio mi va male, potrei farmi allungare uno spezzone di corda e risolvere il problema. Ma, ovviamente, finchè non mi trovo con le mani nella marmellata, non mi rendo realmente conto del potenziale pericolo: in fondo, dal basso, il passo duro non sembra poi così lontano! Con questo spirito mi approccio all’esame preoccupato ma assolutamente ancora in grado di gestire e calmare le mie emozioni così che, quando sono allo spit sotto il passo chiave, l’adrenalina è ancora a livelli più che normali. Mi fermo a studiare la situazione: è una semplice questione di piedi, basta capire dove metterli. Ho le visioni: il biondo Luca mi ripete “spingi sui piedi, spingi sui piedi!”. Mi muovo; lentamente salgo e mi allontano dallo spit. Respiro. La posizione mi permette di soppesare il passo successivo ma l’adrenalina comincia a salire. “Spingi sui piedi, spingi sui piedi!”. Lo faccio e mi allontano ancora dallo spit. Sembrano mancarmi solo un paio di movimenti per raggiungere un piccolo ripiano e rinviare lo spit successivo, peccato che a questo punto ho il vero duro. Per un attimo è come se calasse una fitta nebbia: il panico sta per prendere il sopravvento! E se dovessi cadere? Fin dove sprofonderei? Ho un flash: potrei usare il cliff! Immediatamente scaccio l’idea farlocca, accendo i fari e torno a vederci o, almeno, ci provo. Forse se mi allungassi, sulla destra troverei qualcosa. Provo a tastare: la fortuna sembra dalla mia, devo solo capire come mettere i piedi e sono a posto. I movimenti sono lenti, delicati, soppesati. “Spingi sui piedi, spingi sui piedi!”. Sposto le mani e alla fine afferro una presa verticale. Spingo sui piedi e la magia riesce: sono fuori! Rinvio e mi salvo definitivamente. Ora non mi restano che alcuni metri prima della sosta, sopportare la grandinata di pietre dell’ultima lunghezza e una discesa interminabile durante la quale ci viene anche il dubbio che potremmo vagare all’infinito per i boschi della valle del Sarca come la nave fantasma!


Cavallo Goloso


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