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SÜDPFEILER – GANDSCHIJEN

domenica 19 giugno ‘22


Alzo lo sguardo, studio la parete: la linea è lì in tutta la sua logicità. E, altrettanto ovviamente, i fix sono delle caotiche mitragliate che riluccicano al sole. Non ci sto capendo molto (forse quasi una cippa di niente): dove devo partire? Guardo verso valle: del Jag ancora nessuna traccia, poi lo vedo camminare costante verso l’attacco. - Non ci siamo, non sono in forma... - Completo io la frase perchè tanto ho già ben chiaro dove andrà a parare - … e poi hai le gambe da merlo... Cazzo Jag, ti lamenti ma poi abbiamo impiegato meno del tempo della guida - - Eh, ma non va bene - Potrebbe partire la valanga di lamentele, trite e ritrite su come non stia facendo nulla, che il lavoro lo assorbe eccetera eccetera, invece lascia da parte la pentola di fagioli e scarica lo zaino. Intanto sono arrivato alla decisione che la via parta da questa specie di pulpito perché altrimenti dovrei spostarmi a destra e non ne ho voglia: la placca verticale su cui dovrò salire mi sembra però un palo nel culo, per dirla chiaramente. Eppure la guida recita che le difficoltà sono sotto il limite umano. Ci sarà la ronchia nascosta (difficile sul granito ma tantè), deve esserci per forza anche perchè ho portato le ciabatte che non sostengono nemmeno sui gradini delle scale di casa. Se non c’è il beneamato regalo dovrò inventarmi qualcosa. Parto: inutile perdersi in chiacchiere e filosofie su quello che potrebbe esserci. Così scopro che la sbarra non c’è (ovvio) e manco una tacca decente. Forse dovrei mettere il piede su quella caccola, peccato che la scarpa sia tendente allo sfondato. Mi faccio tenere e poi pendolo verso sinistra. Tecnica antica ma sempre più che attuale. Afferro qualcosa che man mano salgo diventa sempre meglio e così liquido il tiro (io mi sono già sufficientemente squagliato sull’avvicinamento). Il Jag mi segue e, come al solito, il Caianesimo non lo ha abbandonato. E come potrebbe? Non è lo stesso sulla lunghezza seguente, almeno per quanto mi riguarda: lentamente mi avvito su per il diedro fino a trovarmi a guardare le cime che mi stanno attorno, eppure la tecnica, schiena alla parete, si rivela vincente; usciamo quindi da una variante d’attacco (non può che essere altrimenti, a meno che qui i gradi siano stati lavati a 90°) e ci immettiamo sulla linea del Südpfeiler. Tutto prosegue senza intoppi fino ad un bivio lungo la linea di tasselli metallici: chiedo lumi in sosta ma la risposta è del tipo - Apollo, qui Huston, devi fare così e cosà... insomma, cazzi tuoi! - Sono perplesso: provo a sinistra ma mi impantano alla base di una fessura svasa buona come pista verticale per le biglie. Scendo (e qui mi sento come Preuss), torno a destra e afferro la lama: linea logica ergo sosta guadagnata senza ricorrere a strane astruserie. Ma tanto l’A0 mi aspetta più in alto perchè lui è paziente e sa che la vendetta è un piatto che si gusta freddo. Io però non ho problemi di digestione: il muro è liscio, c’ho le scarpe che non tengono (e poi comunque non saprei dove metterle, manco fossi Tommy Caldwell sulla Dawn Wall) ma in compenso i rinviii si tirano che è un piacere. È tanto divertente che anche sulla lunghezza seguente mi ripeto per superare la parete aggettante sopra la sosta. Mi chiedo dove siano i gradi di Little Chamonix ma, pazienza, non si può sempre sperare che le difficoltà generose siano distribuite a pioggia come il pane ai piccioni a Venezia. Un altro tiro ci deposita sulla finta cima: mi pare ovvio che i giochi siano finiti, la paretina sopra le nostre teste è pulita e sembra che la cengia tra noi e la sua base ci possa portare sui prati sommitali. Ci credo e ci provo, arrivo al crinale a sinistra ma oltre c’è il baratro della morte certa. A destra non esiste via di scampo. L’unica è inventarsi un modo per scalare le fessure sopra la mia testa. Non sembrano difficili ma l’ignoto è l’ignoto. È come quando ti portano i pasticcini: finchè non apri la confezione non sai cosa aspettarti e c’hai un brivido che ti scuote. Piazzo il primo friend, salgo, ne metto un altro e poi la fessura si abbatte. Sopra c’è il prato, la sosta di calata e poi, ancora più su in corrispondenza di un giaciglio d’erba, l’ultimo punto di fermata. Ci resta la discesa, un bel giro intorno alla cima che, a parte la nostra visita, se ne sta tutta soletta ad ammirare i ghiacciai intorno.


Cavallo Goloso


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