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SPIGOLO ABRAM – PIZ CIAVAZES

domenica 24 giugno ‘18


Sono in odore di Piolet d’Or. Il problema è che ho altre 3 cordate del corso base che gareggiano con la nostra impresa: la via del Cavolo. Già perchè sabato alla ricerca di una linea tranquilla sopra Gardeccia finisce che ci infiliamo sulla struttura sbagliata facendo assaggiare un po’ di alpinismo esplorativo ai malcapitati allievi. Credo che nemmeno agli albori della mia brillante carriera caiana abbia mai sbagliato parete! Alla fine, grazie al fiuto da cordata Cassin-Ratti, tiro fuori una linea facile e, fatta salva un’uscita su sabbia e ghiaia, con roccia che non tende a smontarsi come un mobile Ikea mal assemblato. Domenica però devo ripigliarmi dai traumi post impresa e così provo ad accaparrarmi un paio di allievi per una salita che non mi spremi come un’arancia ma gli altri istruttori fanno orecchie da mercanti e io mi ritrovo insieme a Marco alla volta dello spigolo Abram. Non so nulla della parete né, tanto meno, della via se non quanto ho reperito dalla relazione così il Denny mi spara due dritte, giusto per spiegarmi dove si trovi l’attacco evitandoci così di finire sullo spigolo sbagliato. Infatti, non ancora scaldate le gambe col breve avvicinamento, i 4 adepti si rendono rapidamente conto con quali squinternati semi-istruttori siano in giro visto che, mentre il sottoscritto punta alla linea sulla destra della parete, Marco è esattamente del parere opposto. Sfruttando allora la mia abile arte retorica ciceroniana, riesco a convincere il drappello a seguire ancora una volta il mio istinto sebbene sulla mia meta non scommetterei un Euro!

Ora i nodi possono finalmente venire al pettine: il subdolo lavoro da psico-terrorista operato dal Marcello produce infatti i suoi frutti. Inizio infatti a pensare non tanto al tiro d’artificiale quanto alle fessure di V che lo precedono e a come abbiano sconvolto altri pretendenti che, si racconta, siano usciti sconvolti e spremuti come dopo un passaggio in centrifuga: riuscirò a passare indenne da questa ennesima prova? D’altra parte provo a instillarmi un po’ di fiducia convincendomi che quei passaggi non potranno essere più duri delle fessure della Cassin alla Trieste né, tanto meno, dovrei dimenticarmi della prestazione su Panorama su Forzo. Eppure il dubbio resta e solo quando alzo le chiappe sopra la sosta del secondo tiro finalmente dissolvo ogni nebbia. Poi la vera maestria del capocordata arriva al quinto tiro. Devo essere in un particolare stato di grazia (sarà forse perchè ultimamente non faccio altro che scalare?) perchè arrivo alla fessura strapiombante convinto che proverò a passare in libera nonostante i cunei da antiquario e relativi cordini marci. Piazzo un paio di friend evitando di usare le millenarie protezioni di Abram quindi mi alzo quasi elegantemente al chiodo con cordone. Il duro viene ora: spalmo di piedi e un verticale cazzuto che diventa buono solo quando si passa oltre, poi faccio contento Luca spingendo sui piedi e quindi esco dal duro. Sento la via in tasca e non tardo a comunicarlo ai miei compagni che invece si divertiranno a fare fra’ Tuck suonando le campane con la migliore tecnica di sopravvivenza possibile; solo che così facendo dimentico quanto possa essere esigente lo snobbato “quarto” dolomitico tanto che, per evitarmi la Caporetto di giornata, sono costretto su un paio di tiri a tirare fuori dal cilindro la mia maestria nell’arte scalatoria. Quindi, dopo l’apostolica dodicesima e inaspettata lunghezza quando l’intestino di Tobia è sulla strada per diventare una pentola a pressione in procinto di scoppiare mentre Andrea fa il funambolo sull’orlo del collasso, lo spigolo finisce e noi ci ritroviamo sulla cengia dei Camosci. A quel punto mi viene la tradizionale fretta di fare come Baglioni e, una volta sbucata anche la seconda cordata, cerco di onorare il nome del sentiero d’uscita con il solo risultato che, quando arriviamo alla calata, facciamo la fine delle bollicine dello spumante intrappolate dal tappo delle restanti cordate del corso caiano.


Cavallo Goloso


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