PANORAMA SU FORZO – ANCESIEU
sabato 16 giugno ‘18
Prima o poi scriverò una guida sul Cerro Torre tanto oramai ho capito che basta mettere giù un elenco di vie, descrivere dei tiri a casaccio, mescolare il tutto e poi servire la guida con alcune belle foto magari, giusto per confondere ancora di più le idee, di altre pareti! Ah, dimenticavo: bisogna poi prendere la scala delle difficoltà, metterla in lavatrice a 90°, vedere quanto si restringa e, se necessario, ripetere l’operazione.
Mistero n°1: la cappellina. Per trovare l’imbocco del sentiero bisogna scoprire dove sia la struttura votiva ma nemmeno sgranando il rosario riusciamo a trovare traccia dell’opera sacra e così, quando arriviamo davanti ad una traccia che si infila nel bosco, ci guardiamo col perspicace sguardo da pecora: dove diavolo è finita la scritta “palestra”? Poi Cece accende la super vista, decifra un geroglifico millenario e finalmente scopre il bandolo della matassa che ci guida nel folto della giungla. Indossato il cappello da Indiana Jones, l’amico tira fuori il machete e inizia ad aprire un varco profetizzando il nostro ingresso in un nuovo “zecchificio”. Alla fine della giornata conterò 4 succhia-sangue a tradimento, tanti quanti i passi in artificiale fatti sulla via.
Mistero n°2: il boulderista o l’A0. Il primo tiro è dato 6c. Siccome sono solito scaldarmi su questi gradi tanto quanto frequentare Rimini e Riccione, direi che l’appena terminata risalita delle fisse alle alghe è stato solo l’antipasto prima dell’arrosto bruciato! Scrutandomi dal monocolo Cece mi informa che il primo fix va tirato a meno di voler lanciare ad un rovescio con il piede su uno svasino disegnato. Mi domando allora perchè diavolo dovrei fare il Moroni quando, caianamente, posso tirare il rinvio e così seguo la soluzione tradizionale per poi fare il Picasso con le mutande quando il piede decide in piena autonomia di assestarsi sull’appoggio mentre supero il successivo ribaltamento.
Mistero n°3: il diedro e i tiri vaporizzati. Al terzo tiro ringrazio di essere caiano. L’ingresso del diedro cerca in tutti i modi di sputarmi fuori ma io ce la metto tutta, faccio la zecca incastrandomi e spingendo contro le pareti finchè riesco a passare oltre l’uscio dell’ingresso. Ora inizia il divertimento. Il diedro si abbatte ma la struttura è interamente da proteggere e, dopo un’esperienza da lotta in trincea, finalmente conquisto la sosta. A questo punto diamo un occhio alla guida giusto per avere idea di quello che ci aspetta: del diedro appena superato però nessuna traccia e anche i tiri precedenti combaciano come i pezzi di puzzle differenti! Ci guardiamo attoniti domandandoci se siamo di fronte al primo caso di accrescimento di parete e poi concludiamo che la relazione ci sarà utile come un pacchetto di goldoni.
Sulla quinta lunghezza mi sento quasi il Luca. Parto infilando il friend salva caviglie quindi uso la massima potenza per vincere l’incastro e rinviare il fix salva sedia a rotelle; poi continuo a divertirmi prima con un run out che in altri tempi mi avrebbe visto calarmi a terra e poi a capire come superare l’ennesimo infido passaggio prima di finirla di sbuffare e raggiungere la sosta.
Mistero n°4: chi ha messo la scala Welzenbach in lavatrice? Sul tiro seguente mi riposo un attimo solo perchè è Cece a dover tirare su la corda e capire come diavolo tenere la prua strapiombante mentre io gongolo pensando al facile VI- che mi spetta subito dopo. Già in partenza però sentiamo puzza di bruciato e, infatti, ben presto mi trovo a tirare una fessura dove una volta avrei infilato una mitragliata di friend. Poi afferro la pianta svasa d’uscita (pure quella dura da tenere!) e, finalmente, arrivo in sosta con l’indicatore della forza ben al di sotto della riserva.
Quando sono alla base del penultimo tiro non immagino certo che a breve avrò le visioni. I primi sorci verdi li vedo sulla placca iniziale dove ho la sensazione di stare attaccato come i pezzi di carta che incollavo alle elementari con la Pritt e dopo mezzo secondo erano già sparpagliati e svolazzanti sul tavolo finchè agguanto la spaccatura del diedro e, ingenuo, mi reputo salvo. Infatti risalgo la fessura con baldanza fino ad arenarmi sul passo chiave mentre l’ultimo fix mi fa ciao con la manina ben al di sotto dei piedi e io mi domando perchè diavolo non mi sia portato il cric da infilare nella spaccatura. Provo allora ad entrarci con la gamba ma l’unico risultato è che non riesco a muovermi da nessuna parte mentre l’indicatore della ghisa inizia la sua scalata verso l’alto. Provo allora con la vecchia e cara Dulfer ma mi rendo conto di aver più possibilità di quagliare con una super gnocca e allora torno a incastrami nella spaccatura. Alla fine riesco a piazzare il C3 rosso e, in qualche modo, l’aggeggio si assesta nella fessura anche se nutro parecchi dubbi sulla sua tenuta. Lo accoppio ad un dado che forse potrebbe andare bene per stendere le mutande e poi provo a cercare un appoggio per i piedi sperando che nella smania di cancellare robe, l’autore della relazione abbia lasciato qualcosa per scalare. Ne trovo due, li carico, tiro la fessura, la visione dei Santi si offusca finchè, finalmente, arrivo al fix successivo. Ma non è ancora finita. Il diedro infatti è chiuso da un maledetto strapiombo: arrivo alla base, inizio a piazzare friend a manetta mentre l’indicatore della ghisa inizia a suonare e lampeggiare di rosso poi afferro una pinza umida e scivolosa che mi fa raggiungere l’estasi mistica con la visione della Trinità mentre sento la mano sgusciare via della roccia; afferro per un attimo il Camalot numero 3, l’ossigeno torna al cervello, mi ricordo che nei diedri bisogna spaccare i piedi e, finalmente, Bud Spencer sparisce e io raggiungo la sosta. Manca ancora un tiro ma nemmeno lì la parete molla. Io invece non ne posso più: arrivo sotto lo strapiombo d’uscita dopo essere scampato dall’impazzire sulla placca sottostante e, siccome non ci capisco più niente, tiro l’ottimo rinvio, afferro il porcino d’uscita e finalmente esco prosciugato dalla parete.
Cavallo Goloso
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