|racconto|   |relazione|   |foto|


OTTOZ HURZELER – AIGUILLE CROUX

sabato 27 e domenica 28 giugno ‘15


Sparo proposte assurde, poi domenica mi cagherò addosso tirando una sequenza di chiodo, spit poco affidabile e altro chiodo un po’ dondolante; più sopra termino quasi terrorizzato appendendomi ad un friend sotto il quale luccicano due possenti spit. Sembra che il volo di oltre un mese fa abbia lasciato un solco nascosto ma molto profondo.

Il tran tran pre week end è sempre il solito: alla fine ci infiliamo in auto sapendo solo che andremo nella zona del Bianco ma non su quale versante. Quindi solo ad un tiro di schioppo dal gigante, optiamo per il lato italiano, un po’ perchè sabato c’è il rischio di annuvolamenti e un po’ per evitare il salasso di tunnel e funivia che si sommerebbe al dissanguamento post trattamento con sanguisughe dell’autostrada valdostana. Arriva così il momento di riempire i sacchi con un’operazione che richiederebbe la borsa di Mary Poppins! Alla fine Cece e Marco sembrano due “vu-cumprà” con due zainetti taglia gitarella domenicale e materiale appeso un po’ ovunque, mentre il sottoscritto è un himalaista che ha sbagliato continente! Conciati come un trio di disperati, iniziamo a camminare su per il sentiero sotto i riflettori del sole perdendo ad ogni passo litri e litri di liquidi. L’ambiente che si apre sopra le nostre teste è un canto del caianesimo, un po’ come una soave melodia natalizia: in prima fila l’aiguille Croux, il nostro obiettivo per domenica, cinta a corona dalla punta dell’Innominata, dai piloni del Brouillard e poi dalla cima del Bianco. Certo che, di fronte a tale maestosità, la nostra meta sembra un’insignificante caccola surclassata per più del doppio dall’imponente aiguille Noire che le sta di fianco. Ma noi siamo solo tre piccoli caiani il cui istinto suicida non è cosü grande da spingerci ora verso tali mete e pertanto ci accontentiamo di posare gli occhi su una parete che comunque ha le dimensioni del Sasso Cavallo!

Intanto c’è da decidere dove andare a bighellonare e Cece propone (probabilmente senza esserne veramente convinto) di fare una vietta su uno dei paracarri erbosi che salgono al Monzino; lo guardo perplesso mentre osservo snobbante quegli ammassi di sassi ed erba e punto il dito più in alto: là, io voglio andare già là, all’aiguille Croux! Il testa a testa è una lotta tra due fili d’erba alla fine della quale il mio combattente ha la meglio: si punta alle alte vette, alla lotta con l’alpe. Così almeno pensiamo e così ci avviamo verso la base della parete con l’idea di salire la Ottoz Hurzeler; in effetti, lungo l’avvicinamento i nostri propositi sono ben appagati: per la maggior parte del percorso non c’è traccia di sentiero ma piuttosto siamo costretti a fare gli equilibristi su gande instabili che si divertono a ributtarci in basso finchè non riusciamo a guadagnare la base dello spigolo. Più a destra sprofonda il tempestoso ghiacciaio del Freney dalle voraci e spalancate fauci: restiamo ammaliati da quel campo minato solo perchè sappiamo di non doverlo superare e quindi iniziamo a risalire i primi facili tiri della via. Siccome siamo forti e spavaldi (sul terzo grado!) risolviamo alla Preuss un terzo abbondante della salita finchè arriva il momento di legarci. I tiri si susseguono velocemente anche perchè la via è abbondantemente e eccessivamente spittata: un’infamia per la nostra fame di caianesimo! Quando quindi tutte le lunghezze sono sotto le scarpette, solo una placchetta appoggiata ci separa dalla vetta vera e propria; forti del nostro autocontrollo mellico, la saliamo slegati col risultato che mi cago in mano: la roccia è bagnata e quei pochi e semplici metri sono più che sufficienti per pagare il dazio dell’assenza di avventura sul tratto verticale.

Buttiamo le doppie e io mi appresto a vivere l’ennesimo bivacco dopo un abbondante risotto liofilizzato. La notte passa come potrebbe passare stando sdraiati su un materasso alto poco più di un dito; sogno che mi venga aperta una stanza del rifugio piena di vecchi ma comodi letti eppure il gusto di riposare sotto la volta stellata resta qualcosa di unico.

Domenica facciamo le cose sul serio: riprendiamo la via verso l’aiguille Croux puntando alla ben più impegnativa Bertone Zappelli. Inizia a condurre Cece dopo l’ennesimo superamento di un nevaio gelato che pensa di avere a che fare con un trio di novellini: ma noi tiriamo fuori un piccozzino e, lavorando da bravi scalpellini, superiamo la lastra gelata. Saliamo quindi le prime lunghezze con discreta velocità finchè approdiamo alla base del tratto rosso verticale: ora si che siamo al Bianco! Marco passa in testa e ci frega per ben due volte: prima scalando leggiadro, poi dicendo che al massimo il tiro sarà sul sesto. L’inculata è doppia: faccio una fatica indicibile, mi ghiso a più non posso, sputo sangue, tiro qualche rinvio e alla fine arrivo in sosta. Manca ancora una lunghezza prima del mio turno e già la mente inizia a vacillare, poi il colpo di grazia me lo infligge il tiro seguente con un tratto finale in stile puzzle. Continuare ben volentieri a fare il turista himalayano ma alla fine mi tocca passare in testa, anche perchè, nella posizione in cui ci troviamo, diversamente faremmo un bel groviglio di corde. E così inizio azzerando un chiodo, tirando uno spit con dado fissato male per poi agguantare un chiodo dondolante: non è certo il modo ottimale per risvegliare l’istinto caiano! Continuo afferrando altre protezioni (ora fortunatamente solide) e poi svuoto ogni forza residua superando un piccolo strapiombo. Sopra la parete fessurata è ritta come un pisello: azzero i due spit e poi mi devo affidare ad un friend. Consegnare le mie bellissime membra a quell’aggeggio mi prosciuga definitivamente mentre sono pervaso dal terrore che questo esca dalla sede facendomi precipitare ben mezzo metro più sotto! Alla fine però non posso che affidarmi alla tenuta delle sue camme e raggiungere così la sicurezza della sosta. Sono diventato minuscolo, insignificante e non ho la minima intenzione di continuare: evidentemente la mia testa sta ancora precipitando dalla torre Crisalva. Tocca quindi a Cece risolvere le due lunghezze seguenti riconsegnandomi le redini all’ultimo tiro: dopo aver spolverato l’antica tecnica del camino, in qualche modo riesco a cavarmela più per orgoglio personale che per la convinzione che, in fondo, la parete sia ora banale; cosü torno allo stesso punto calcato il giorno prima ma con la testa avvolta in un cerchio di nubi dove si rincorrono dubbi e domande.


Cavallo Goloso


Per lasciare un commento, clicca QUI