MOCCA – SALBITSCHIJEN
sabato 27 giugno ’09
Capitolo 1
“Quando è nuvoloso e minaccia pioggia, non si va ad arrampicare”
La partenza da Como è all'insegna della calma: l'obiettivo di oggi è il rifugio sotto la Salbitschijen e, eventualmente,
una vietta per tirar l'ora di cena. Quindi, una sosta ristoratrice da Melillo non possiamo farcela mancare:
in pochi minuti il mio stomaco riceve la graditissima compagnia di una brioche al cioccolato subito seguita da una alla crema.
Avrei poi scoperto i benefici effetti calorici dei due dolci sovradimensionati durante la giornata, raggiungendo l'ora di cena
senza sentire i morsi della fame.
Quando sbuchiamo dal tunnel del Gottardo, il Canton Uri ci accoglie con modi bruti e poco ospitali:
grige nuvole roteano nel cielo minacciose rispettando pienamente quanto anticipato dalle previsioni.
Speriamo solo che le cataratte non decidano di aprirsi durante la marcia d'avvicinamento!
Il sentiero ripido ci consente di guadagnare quota abbastanza velocemente nonostante il ritmo non sia quello consueto.
Arriviamo alla Salbithutte poco prima di mezzogiorno: è ancora presto e quindi io e Cece, nonostante i nuvoloni grigi,
decidiamo di tentare una via, mentre Silvia e Vera si dividono tra l'indecisione del sa farsi e una tazza fumante di tè.
La prescelta è “Mocca”: una linea rettilinea che risale interamente la fessura che con geometrica eleganza sale dalla base fino alla
sommità della parete.
Ci muoviamo sul ghiaione immersi nella nebbia: la nostra unica bussola è la memoria di Cece che ha calcato queste crode un paio danni fa.
Il nevaio è davanti ai nostri piedi, mentre gli occhi si posano sulla roccia che si tuffa nelle nuvole soprastanti.
Inizio quindi la faticosa opera del pedonare, tirando violenti calci alla neve ancora gelata. Ad un tratto, un piede scivola subito seguito
dall'altro; in un attimo mi ritrovo sulla neve mentre perdo rapidamente i metri faticosamente guadagnati. Cece prova a bloccarmi,
con il solo risultato che ci troviamo entrambi a cadere sul pendio nevoso. La situazione si fa ancora più comica quando il soccorso riesce
a fermarsi, mentre il soccorritore continua a scendere per alcuni metri prima di riuscire ad arrestarsi. La situazione, per nulla pericolosa
considerando che il pendio sotto di noi diminuisce la sua pendenza fino a spianare, si chiude con una grossa risata e nel contempo ci
suggerisce di guadagnare prima possibile la roccia. Questa volta è Cece in testa: supera il nevaio e si infila in un camino-canale bagnato
dando il via ad un rapporto con l'acqua che caratterizzerà tutto il fine settimana; raggiunge quindi un casco incastrato nella fessura
diventandone così il nuovo padrone e poi una piccola piazzola che costituisce il nostro punto di partenza. Inizio così ad arrampicare
lungo una serie di fessure che, seppur facili, sono rese insidiose dall'acqua presente; poi finalmente incrocio la linea di spit della
nostra via da dove raggiungo la sosta. La roccia è umida, ma, sfruttando i soliti espedienti, si riesce comunque a salire.
Lungo il secondo tiro, Cece viene accompagnato da una fastidiosa pioggerella che bagna completamente la roccia nonché i nostri “canaponi”
che iniziano ad inzupparsi considerevolmente. Le scarpe non hanno alcuna aderenza e quindi la scalata diventa ancora più complessa;
come se non bastasse, siamo completamente avvolti nella nebbia: l'ambiente spettrale è al contempo intrigante e, con un po' d'immaginazione
e aiutati dal colore rossastro del granito, ci si può figurare su una qualche via del Bianco.
E' il mio turno: la terza lunghezza, un po' più facile della precedente, mi da del filo da torcere in un paio di passaggi dove i piedi
si trovano a lavorare su un velo d'acqua. E chi si fida a spalmare sul bagnato? Tirando friend e rinvii guadagno la sosta: se non altro ha
smesso di piovere e la roccia inizia già ad asciugare. Le nuvole si diradano lasciando traspirare uno spiraglio di luce, ma è solo una
tregua prima del successivo ritorno nella nebbia. Superiamo i due tiri seguenti con minor difficoltà sebbene siano tecnicamente più
impegnativi dei precedenti ma fortunatamente in buone condizioni, anche se la penultima lunghezza impegna non poco gli avambracci.
Ci ritroviamo così sulla cresta sommitale da cui ammiriamo il panorama grigio e monotono che ci circonda, poi buttiamo le doppie che vengono
inghiottite dalla nebbia.
Seppur in condizioni non proprio ottimali, abbiamo tirato un croce anche su questa via, mentre la mente è già a domani quando ci attenderà
una linea molto più intrigante e ardita. Ma la Salbitschijen ha deciso di rimanere avvolta in un aura di mistero avendo deciso di non levare
i veli e permettendoci solamente la vista dei nevai ai suoi piedi.
Cavallo Goloso
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