racconto della via magic line al qualido, val di mello (sondrio, lombardia)


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MAGIC LINE – QUALIDO

sabato 03 luglio ‘10


Fa piuttosto caldo e il cielo, dopo il temporale del venerdì sera, è completamente sgombro di nubi. Le nostre titubanze sulle condizioni della roccia sono presto fugate: risalendo con l’auto in Val di Mello osserviamo le pareti disturbate solo raramente da qualche solitaria colata nera. In compenso il torrente è gonfio e minaccioso: sarà una bella sfida da attraversare anche se, in verità, l’attenzione è tutta rivolta al ripido sentiero che risale verso la big wall del Masino.

Vista dal basso, la muraglia strega l’osservatore: rapito da quella sequenza di muri, placche e strapiombi tagliati da precise fessure, l’occhio si perde nella sua vastità. E lo scalatore diventa sempre più piccolo, insignificante al suo cospetto, finchè non decide di mettersi in gioco e confrontarsi con quel protogino.

L’avvicinamento si rivela meno impegnativo di quanto aspettato; la traccia, seppur ripida, è comunque regolare e rapidamente porta alla base della parete del Qualido. Individuato facilmente l’attacco, è il momento di scegliere la cavia di turno, posto comunque che tutti e tre dovremo guadagnarci la nostra vetta. Luca si offre immediatamente per la conduzione e noi non possiamo certo deluderlo: entriamo così finalmente a contatto con questa ambita muraglia.

Pur salendo da secondo, le prime lunghezze mostrano subito il carattere della via: protezioni melliche ergo lunghi viaggi tra uno spit e l’altro, anche se i passi più impegnativi hanno il conforto di una protezione poco sotto i piedi. Mentre salgo, mi rendo conto che da lì difficilmente sarei passato da capocordata, mentre Luca pare disinvolto nell’affrontare quelle placche lavorate. Poi il terzo tiro ci propone il primo vero assaggio di Qualido: il passo obbligato mi impegna non poco ma, confortato e aiutato dalla corda che mi protegge, supero il tratto raggiungendo così la sosta.

La pacchia però non può durare e, oltretutto, non mi va di essere scarrozzato per la parete: l’abito del secondo mi va molto stretto, voglio essere partecipe della salita! Così alla fine del quarto tiro colgo l’occasione per passare davanti. Di fatto è l’unico modo per capire se la testa gira nel verso giusto e quindi se sono in grado di scalare su Magic Line. La mia prima lunghezza, tutto sommato, si conclude senza troppi problemi. Ma il rodaggio dura poco e subito sono gettato nella mischia. Siamo alla base del sesto tiro che inizio a salire confortato dalla lunghezza precedente. Lentamente salgo sulla placca lavorata: devo studiare i passaggi perchè spesso la via più breve tra le protezioni non corrisponde anche a quella più facile. Sono vicino all’ultimo spit raggiunto, dove la parete si fa ancora più ripida: provo a destra, ma mi risulta impossibile passare. Devo spostarmi a sinistra: i piedi posso appoggiarli su quei cristallini, per le mani ho quella vaga fessurina e poi dovrei raggiungere una tacca da cui rinviare. Provo a ripartire. Il piede destro però non collabora: la scarpetta non vuole proprio aderire alla roccia. E allora riprovo a destra, ma questa volta staffando. Lo spit successivo è comunque lontano e, pur ricorrendo all’artificiale, dovrò fare ancora un paio di passi prima di raggiungerlo. La speranza è tutta riposta in una vaga fessurina che sembra dare l’opportunità di salire quel tanto che basta per raggiungere la protezione successiva. Ma nulla da fare: la fessurina si rivela un flop e quindi non mi resta che tornare allo spit. Mi viene voglia di rinunciare e cedere il tutto a Luca, anche perchè oramai è parecchio tempo che sono partito dalla sosta. Lapidario comunico la mia incapacità nel procedere, ma Cece mi sprona ad un altro tentativo a sinistra. E allora ritento. Avevo individuato una piccola tacca che si era mostrata utile per la mano, ma comunque insufficiente per la progressione. Quella tacca però sembra ideale per quell’aggeggino che penzola dal mio imbrago. Non so se per smania nell’utilizzarlo o per orgoglio personale, fatto sta che, per la prima volta, tolgo quell’attrezzo dalla sua sede, aggiungo un rinvio e quindi lo appoggio sulla tacchetta. Il cliff si adegua per bene alla tacca: delicatamente lo afferro tirando verso il basso, è la chiave di volta! Così facendo riesco infatti a guadagnare qualche prezioso centimetro con i piedi che mi permette di guadagnare un buchino per la mano sinistra e quindi la tacca da cui rinviare. Protetto dallo spit faticosamente raggiunto non riesco ad urlare null’altro se non che “cazzo, ho usato il cliff!”.

Continuo a condurre la cordata per altri due tiri e poi cedo il passo a Cece. Il nuovo capocordata sale il diedro del nono tiro e ci conduce alla base della fessura che, se percorsa in libera, rappresenta la massima difficoltà della salita. Riparte con la sua carica di friend e, solo dopo un lungo lavoro, finalmente urla “libera!”. Tocca al sottoscritto: inizialmente la fessura, seppur fisica, è comunque netta e, con la corda dall’alto, non è poi così impossibile. Ma poi, dove la roccia si fa un po’ meno verticale, quella stra maledetta ma, al contempo, provvidenziale fessura, si fa svasa. Diventa sempre più difficile e faticosa da tenere, anche perchè il contributo dei piedi è quasi nullo. Arranco a più non posso tirandomi su come meglio posso, ma alla fine desisto. Mi lascio pendolare verso destra e afferro una delle corde che scendono dalla sosta. Salendo alla marinara mi disfo definitivamente le braccia, ma almeno guadagno altri preziosi metri raggiungendo alcune prese che mi consentono di riprendere la scalata tornando verso la fessura che prosegue ancora verso l’alto. Più salgo e più mi rendo conto del capolavoro di Cece: salire su friend comunque mal messi a causa della forma della frattura non deve essere stata una bella esperienza!

Intanto dietro di me, Luca riesce a scalare tutto il tiro senza mai appendersi né tirare i rinvii: con estrema maestria riesce così a superare tutta la lunghezza in arrampicata libera, lasciandomi di stucco di fronte a tanta bravura.

Ma la via è ancora lunga; una sbirciata alla guida però è di grande conforto: davanti a noi abbiamo un altro tiro duro, mentre i rimanenti non dovrebbero darci problemi. Riprendo la conduzione per altre tre lunghezze affrontando così anche l’ultimo tiro difficile che però si mostra decisamente meno impegnativo di quanto atteso.

Oramai la via è fatta, mancano solo le ultime tre lunghezze dove Luca torna a condurre la cordata. Intanto scuri nuvoloni iniziano a farsi sempre più minacciosi fino a scaricarsi, per alcuni minuti, sulla placca conclusiva. Spostatosi verso il Paradiso Può Attendere, Luca riesce ad allestire una sosta su friend da cui recuperarci: da qui proseguo per raggiungere il bordo superiore della struttura. Sono intento a capire dove possa essere la sosta conclusiva, quando mi scivola un piede! Fortunatamente sono su una placca quasi orizzontale quindi, a parte una buona dose di spavento considerando che l’ultimo friend è un bel po’ più in basso, l’inconveniente non ha ripercussioni, se non che sia Luca che Cece ripetono la mia stessa comica.

La discesa è una lunga sequenza di doppie che affrontiamo con la massima rapidità consentita anche perchè, nel giro di pochi minuti, ci ritroviamo completamente avvolti nella nebbia. L’ambiente fattosi quasi patagonico ci sprona a scendere ancora più velocemente ma alla fine la prendiamo. Siamo lavati da capo a piedi e ben presto diversi rivoli d’acqua scivolano lungo la parete: il torrente ai nostri piedi si ingrossa sempre di più e ci costringerà a superarlo infilando i piedi nelle sue acque.

L’epica giornata si conclude alla luce delle frontali ritornando al Gatto Rosso dopo quasi 17 ore dalla nostra partenza, di cui 9 e 1/2 passate a scalare!


Cavallo Goloso


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