LA DEMANDE – VERDON
venerdì 15, lunedì 18 aprile ’22
Squadro il Gughi stranito:
- Ti sei rifatto le labbra? Sembri un africano con gli occhi blu -
Mi guarda con un sorrisetto appena accennato e poi finalmente riusciamo a partire: mezza giornata di ritardo ma considerando che la mattina sembrava che tutto potesse saltare causa herpes post insolazione dell’amico, non mi lamento e schiaccio sull’acceleratore, direzione ovest! Passiamo il Monginevro, entriamo in Francia e io esco da internet col Gughi che, per risparmiare, non fa più una ricarica da quando le offerte si contavano per numero di SMS gratuiti: ottimo, siamo isolati nel territorio francofono senza uno straccio di cartina stradale così, quando ci ritroviamo nelle Ceüse sbagliata (la stazione sportiva in cima al complesso montuoso ma esattamente sul versante opposto alla famosa falesia), siamo definitivamente fottuti: - Signori, è stato un onore viaggiare con voi stasera -
Giriamo il Caddy verso valle e, fendendo la notte, riprendo la prova speciale: sappiamo di dover andare verso Tallard poi i cari vecchi cartelli stradali si impietosiscono, compare quello per Sigoyer e dopo un’altra serie di curve in salita rischiariamo il parcheggio.
Venerdì mattina siamo avvolti dal sorriso della Gioconda degli FF, un capolavoro di calcare che ricorda una ciambella posizionata sopra un montarozzo che risale dolcemente dalla vallata. Che ci fa un caiano come me da queste parti? Per distruggere il nemico, bisogna prima conoscerlo e come meglio farlo se non nel suo tempio sacro? C’è solo un difetto (oltre al fatto che il disco volante calcareo sarebbe potuto atterrare in terra italica): il sentiero d’avvicinamento è un percorso turistico che taglia avanti e indietro il basamento col risultato che si superano chilometri per guadagnare pochi metri di dislivello. Ma d’altra parte si sa, gli FF non sono mica abituati a muovere gli arti inferiori! Passiamo riverenti sotto il settore di Biographie con i suoi buchi che sembrano quasi tenibili se il pannello calcareo fosse inclinato nella direzione opposta e poi andiamo ad incrodarci a Demi Lune. In effetti la prima giornata non si rivela particolarmente proficua: c’ho una serie di turbe psicologiche che non mi fanno godere a pieno della scalata lasciandomi davanti questo capolavoro un po’ come un vegetariano di fronte ad una fiorentina. Poi sabato migriamo perché il falesismo va preso a piccole dosi. Direzione Verdon dopo che il Gughi si è deciso a dilapidare i soldi (dei suoi) con una ricarica. Il canyon ci accoglie con la sua schiera di turisti fotografi per i quali i climber sono un po’ come i leoni in un safari. Girovaghiamo un po’ alla ricerca della linea di discesa e poi siamo artefici del nostro destino. Ci piace però vincere facile e al primo approccio dopo svariati anni, optiamo per una salita senza vera lotta con l’alpe, per quella ci riserviamo l’indomani. La Demande. È lì che intendo risalire la domenica di Pasqua. A dirla tutta avevo fatto un pensiero a Pichenibule ma quel 6c+ obbligato mi lascia molto perplesso: troppo alto il rischio di dover fare numeri circensi per tornare indietro ribattuti dalle placche estreme, molto meglio fare i vermi su per i camini classici. Così il Gughi scopre su internet una linea di doppie alternative, il sabato ne individuiamo l’attacco e, finalmente, la mattina di Pasqua siamo lì a calarci nell’inferno del canyon. Tocco terra dopo cinque doppie, il Gughi dietro: siamo su una specie di pulpito, un pulpito erboso sperso a metà parete. Non ci resta che scendere dalla traccia come dentro la foresta pluviale finchè sotto i miei piedi si apre il baratro e, poco sotto, l’Acheronte.
-Gughi, che dice la relazione? -
- Ehm, ho lasciato il cellulare in macchina… -
Momento di silenzio davanti al bivio: “scenata isterica” a destra, “tirare fuori la paglia dal culo” a sinistra. Il labbro superiore trema mentre l’occhio inizia a ballare il tic nervoso ma alla fine è anche colpa mia: mi sarei dovuto aspettare che il Gughi potesse dimenticare la relazione, è già tanto che abbia le scarpette! Quindi prendo la strada di sinistra e getto le corde per la prima calata nel vuoto, antipasto per la successiva che attraversa un enorme antro fino a depositarci sul versante opposto del Verdon, quello sbagliato. Mi sento un po’ come un naufrago sull’isola deserta e, in attesa che il T-Rex esca dal cespuglio e decida se usarci come merenda o comporre il trio delle braccina corte, mi avvio verso monte dove ho intravisto una corda che attraversa il fiume. Sono davanti ad una delle scene iniziali di Cliffhanger con una delle due corde della tirolese con la calza rotta, sotto il fiume profondo è in piena corsa. C’ho un groppo in gola ma il Gughi, noncurante, attacca un moschettone e in un attimo è dall’altra parte. Non mi resta che seguirlo: se le corde dovessero rompersi proverei l’ebbrezza del palombaro con scarsissime probabilità di sopravvivere. Insomma: il Caianesimo chiama e io non posso tirarmi indietro. Supero il fiume e ancora una volta sono salvo: ora non ci resta che trovare l’attacco della via e il gioco sarà fatto (almeno così spero). Siamo fortunati: per una volta ho letto accuratamente la descrizione dell’avvicinamento e, fatto ancora più eccezionale, il mio cervello ha ritenuto l’informazione rilevante e non l’ha cancellata come quelle su Aristotele prima della verifica di filosofia. Così riusciamo a trovarci alla partenza de La Demanda chiedendoci chi aprirà le danze. Sarà forse perché ho la ferraglia addosso, fatto sta che faccio il primo ballerino rendendomi rapidamente conto che la serie di friend sarà indispensabile, motivo per cui il Gughi, evidentemente cogliendo il luccichio dei miei occhi, si offrirà per farsi scarrozzare su per tutte le 13 lunghezze. Alla partenza della seconda è chiaro che una caduta mi farebbe finire sulle sponde del vero Acheronte o, quanto meno, a gironzolare su una sedia a rotelle. Studio attentamente ogni singolo appoggio e, sperando che la presa là in alto sia degna di tal nome, mi convinco che in fondo si tratti di un “banale” VI. Il risultato è che Caronte deve ancora pazientare per avermi sulla sua barca e io inizio a prendere gusto a salire un tiro dietro l’altro finchè mi ritrovo a metà del settimo, il primo dentro il diedro-camino finale. Non ho la minima idea su come risolvere il rebus che ho davanti, il fatto è che più in alto il camino ghigna come l’orco nelle favole della buona notte-di-terrore. Per un attimo ho paura di dover buttare le doppie: sto per farmi catturare dal vortice depressivo ma alla fine riesco a strapparmi dalla forza di gravità. Mi ingegno, traverso un po’ a destra, risalgo dove più facile e poi agguanto il fix. Forse ho solo rimandato l’esecuzione tra tre lunghezze ma a questo penserò più tardi. Così arriva il cuore del camino: a me sembra più il colon che il muscolo cardiaco ma tantè almeno è bello lindo e pulito, a tratti anche un po’ lucido. Lascio la sosta e faccio lo stronzo al contrario infilandomi su per il pertugio e ricorrendo a quella miriade di trucchi (compreso ingropparsi l’albero che chissà come cresce nel mezzo dell’anfratto) senza i quali probabilmente il mio curriculum si fermerebbe alla salita delle scale di casa da secondo. I metri scorrono, a volte la misura si riduce ai centimetri e alla fine mi trovo al cospetto del penultimo tiro, fuori dalle difficoltà. Mai sottovalutare però l’ultima portata, a volte il dessert può risultare particolarmente indigesto (a me non è mai successo ma io sono un caso totalmente anomalo coi dolci): infatti il diedro pare non voglia lasciarmi uscire, prova disperatamente a ricacciarmi verso il basso ma io sono testardo e, con altrettanta caparbietà, riesco a raggiungere la sosta per finire dalla padella nella brace. Riesco infatti a venire a capo dell’ultimo solo grazie ad un’indegna staffata che ci apre finalmente le porte per la luce sommitale, l’intestino con vista sull’altopiano. Ma anche il Caianesimo va preso a piccole dosi altrimenti si finisce come il sottoscritto: asociale squilibrato cosü riprendiamo la strada per quel di Ceüse e chiudere il lunedì con un’altra giornata di gloria.
Cavallo Goloso
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