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KAMALA – RATIKON

sabato 26 maggio ‘18


Di Galadriel ricordo la strada d’accesso, un percorso estremo e della morte, affrontata di notte e con il terrore di finire giù dal dirupo. Ora mi trovo a guidare sullo stesso percorso, ancora di notte e con le palpebre pesanti come se fossero state riempite di piombo fuso. Mi incastro lungo gli stretti tornanti e quindi supero l’ultimo paese mentre ci domandiamo chi possa essere il folle che decida di abitare in un simile luogo: forse un lontano parente di due caiani FF che aspettano il fine settimana per infilarsi in qualche assurda situazione? Me ne infischio del cartello di divieto d’accesso e inizio le prove per la Parigi Dakar. Guadiamo un torrente, passiamo sotto gli evidenti segni di una frana sperando che questa non decida di correre verso valle e finalmente, oramai convinto che avrei passato la notte a schivare buche e sassi, arriviamo alla malga di Gruscher Alpli. Mi ricordo di un ottimo posto da bivacco più in alto, dove inizia il sentiero per la parete e allora il Carlos Sainz che c’è in me (un giorno o l’altro riuscirò a conoscere tutte le mie molteplici personalità) pigia sull’acceleratore volando sui rimasugli di neve finchè la prova speciale si interrompe contro i resti di una valanga: non posso chiedere di più alla cara e vecchia Punto cosi torniamo indietro e ci accomodiamo sul selciato della baita.

La sveglia arriva alle 7 sotto forma di un escursionista che raggiunge il nostro posto da bivacco. Immagino già un teutonico cazziatone abbaiato dall’inflessibile svizzero e invece l’uomo ci rivolge qualche incomprensibile parola col sorriso stampato sul volto. Siccome trovo improbabile che ci possa aver chiesto un commento sulla formazione del prossimo governo, rispondo con un lapidario “klettern!”; lo svizzero contento spara altre consonanti di cui capisco solo il saluto finale “schöne tag” quindi lo ringrazio e mi preparo per l’impresa di giornata.

Evitati i salti nel dirupo e l’arresto delle guardie svizzere, almeno non dobbiamo preoccuparci per l’avvicinamento, un percorso che pare uscito da un cartone della Disney finchè, sotto la lavagna calcarea, l’idillio finisce e noi torniamo alle care vecchie abitudini: Cece si appioppa il primo tiro e io quelli pari. Rispetto a Galadriel però siamo cresciuti: dall’imbraco penzolano solo 4 friend (più che altro perchè gli altri li ho dimenticati in cantina) e nessuna staffa e poi l’intenzione è salire in libera anche dove Bonatti e Cassin ci inviterebbero a tirare il rinvio. Quando metto le mani sulla roccia mi sento stranito: ripenso alle ore passate sulla plastica ma qui servono soprattutto i piedi, precisi e delicati e poi bisogna spingere, spingere e spingere. Una volta mi veniva bene, sia in bagno che su roccia ma ora? Dov’è la presa rossa? E l’appoggio giallo? Fortunatamente bastano due movimenti e da FF plasticaro torno FF caiano. Seguo i movimenti del capocordata e il primo tiro mi viene in libera quindi parto per il succesivo. L’inizio non è dei migliori ma poi mi sveglio e sul chiave trovo un rovescio per il dito medio, una specie di presa per i fondelli su cui appoggio mezza falange ma che mi permette di stare in equilibrio su un cornino svasato. Raggiungo un corrugamento della roccia: le dita sudano mentre mi chiedo se avrei dovuto scalare in maglietta poi afferro un verticale di destro, la prima presa decente dopo una sequenza di svasi disegnati ma le dita e il braccio non tengono più. Inizio ad annaspare. Invece che passare rapidamente oltre resto lì immobile finchè lentamente il braccio si apre, le spalle scivolano indietro e, alla fine, mi trovo appeso alla corda. Maledizione: sarebbe stata la prestazione dell’anno!

Poi la via si concede senza alcuna resistenza finchè arriviamo alla base del quartultimo tiro. Non ho ancora terminato di elogiare le mie abilità che rischio infatti di fare la fine del pallone gonfiato, evitando per un soffio di restare appeso come un salame lungo un delicato spostamento verso sinistra. Alla sesta lunghezza mi devo impegnare: la roccia è perfetta ma maledettamente intricata da comprendere tanto che raggiungo la sosta solo grazie all’orgoglio mentre iniziano a passarmi per la mente fotogrammi della parte alta di Dieci Piani: sarà forse per gli spalmi similari? Ma l’apice lo raggiungiamo al penultimo tiro: parte Cece, la parete si impenna e lui sale spingendo sui piedi (d’altra parte non ci sono molte alternative). Dove la roccia sembra dare una tregua l’amico però si arena e, dopo svariati tentativi, mi lascia il campo. Sono perplesso: sarò in grado di proseguire? Quasi per il rotto della cuffia raggiungo il punto che ci ha rimbalzato quindi afferro la presa nascosta, mi alzo e tallono: oramai sono il re di questa mossa! Un altro spalmo e sono fuori dal duro. La via però non è ancora finita e anche sull’ultima lunghezza ci da dell’inaspettato filo da torcere finchè finalmente possiamo gettare le doppie a andare a cuocerci nella fornace alla base della parete.


Cavallo Goloso


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