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GALACTICA – QUALIDO

domenica 26 agosto ‘12


Mi trovo in Masino quasi per caso. È l’ultimo week end disponibile per caianate di livello e quindi non voglio perdermi in farloccate, di conseguenza contatto Fabio confidando nella sua brama di tirar chiodi dopo 3 settimane di assenza e gli sparo a raffica una serie di possibilità: Bonatti al Gran Cap (perchè in fondo, continua a rimanermi lì), Cassin in Lavaredo o alla Venezia e, in preda ad un raptus da big wall, Solleder in Civetta. Insomma, non c’è che da sbizzarrirsi! La scelta iniziale cade sulle prime due proposte per poi ridursi a metà settimana alla Cassin causa bufera, tempesta e temporale. Ma quando arriva il momento di quagliare, il buon Fabio si tira indietro. Il mio castello crolla in un istante, soprattutto in previsione del mese successivo. Sono quindi oramai convinto che mi troverò a gironzolare solitario per monti quando squilla il cellulare: è Luca. Sono salvo, oppure morto, non saprei! Mi propone una via alla Sfinge e io accetto immediatamente senza nemmeno pensarci su mentre già mi immagino nelle vesti del saccone ad essere issato per la parete.

L’avventura inizia con un bell’acquazzone che da Lecco mi accompagna fino a San Martino. È sabato sera e a dare il la al tarlo del dubbio ci pensa il Simo: “ma allora Luca, vuoi andare alla Sfinge?” “certo!” “e già, perchè è noto che le nord sono le prime ad asciugare! Forse se ti porti una confezione di Tampax hai qualche speranza di passare!”. In effetti diventa sempre più difficile non dare ragione al saggio mentre fuori l’ennesimo scroscio va a rimpolpare il fiume limaccioso che fa decisamente paura.

La sveglia suona alle 6 ma bastano due battute per farci girare dall’altra parte. Alle 8 siamo nuovamente in piedi: in cielo si vedono ancora i segni della tempesta che però lentamente iniziano a lasciare il posto al sole. Poco prima delle 9 partiamo per il Qualido con la certezza che dovrò inventarmi improbabili staffate mentre l’elasticità della corda continuerà a rigettarmi verso valle. Dopo un rapido pediluvio nel torrente, raggiungiamo lo straordinario hotel Qualido da cui godiamo di un’ottima vista della nostra lavagna granitica. O meglio, godremmo, perchè mentre il cielo inizia a tingersi sempre più di azzurro, ovviamente la parete rimane per lo più avvolta nelle nuvole. Fa caldo e così decidiamo di partire leggeri: due cappelli di lana, un piumino in due e la mia maglia termica sono gli unici indumenti aggiuntivi che portiamo e poi entriamo nel vivo dell’avventura. Salgo rigorosamente da secondo anche se, a dirla tutta, le prime due lunghezze non mi sembrano poi così impossibili da superare; certo, con i soliti numeri da circo ma credo sarei riuscito a raggiungere entrambe le soste anche senza l’aiuto del forte Luca. Ovviamente non mi lascio sfuggire la sboronata scivolando così sulla classica buccia di banana; subito il compagno ribatte: “beh, se vuoi passare davanti, questo è solo 6b+”. Non solo mi sono tuffato nel letamaio ma ho anche voluto immergermi completamente. Oramai non mi resta che accettare l’invito anche perchè, in fondo, farmi completamente scarrozzare non è che mi vada proprio a genio. Così lascio la sosta e inizio a salire. Gli spit me li devo guadagnare, devo studiare quasi ogni singolo movimento ma, nonostante tutto, continuo a progredire. Credo sia lo sprone della parete, quel quid in più che si sveglia solo in montagna e che ti fa salire tiri che in falesia probabilmente ti farebbero penare ben più del dovuto. Fatto sta che, con un paio di resting, raggiungo la sosta finale decisamente contento e appagato: un pizzico di contributo l’ho dato anch’io! La quarta lunghezza ci tira un tiro barbino: dal basso sembra tutto semplice, tant’è vero che sarei quasi tentato di farla ancora da capo cordata, ma poi qualche passo si rivela effettivamente ostico. In ogni caso, fin qui, la chiodatura è decisamente umana e i passi più impegnativi ben protetti.

Quinta lunghezza: due spit con altrettanti cordini marci sono il preambolo del nulla. Più a destra ci sono altri due spit persi su questo muro granitico. Ovviamente non abbiamo la relazione e non ricordiamo dove passi il tiro ma, nonostante tutto, sono abbastanza sollevato: è sempre Luca a condurre e al momento mi trovo al sicuro della sosta, basta solo non pensare allo stato pietoso degli spit cui sono appeso! Il capo cordata sale guardingo e raggiunge i trefoli del primo cordino e quindi quelli del successivo. Si guarda attorno e, come la vedetta di Colombo, esclama: “spit, spit! eccolo lassù!”. Con una manovra delicata e aiutandosi con la trazione della corda, riesce a raggiungere una specie di fessura diedro sulla destra e da lì inizia il suo viaggio interiore verso la protezione e poi fino alla sosta. Ora che è il mio turno inizio a farmela un po’ sotto: sono ai cordini marci e devo pendolare, non c’è altra soluzione. Mi faccio recuperare il più possibile e poi parto: la meta si rivela più vicina del previsto e l’operazione meno adrenalinica di quanto avessi creduto e così riprendo a salire. Scalare, scalare e ancora scalare: è l’unica ricetta per salire. Gli spit sono numerosi come i porcini a mezzogiorno e per scovarli tornerebbe certamente utile un bel binocolo: Luca ha certamente avuto il suo bel da fare pur arrampicando con la massima tranquillità e, per di più, su difficoltà per nulla banali. La via comunque mi entusiasma, è da mozzare il fiato: la roccia è semplicemente perfetta e richiede una buona dose di tecnica e concentrazione. Insomma, non posso certo dispiacermi di aver visto sfumare tutti i programmi precedentemente pianificati.

Mi sembra di essere in sosta da millenni: Luca ha cercato in ogni modo di superare l’inizio del traverso della sesta lunghezza in libera ma, alla fine, ha dovuto cedere all’A0 mentre al contempo il sole ci dava il suo arrivederci lasciandosi sostituire da un infido vento. Dopo aver sudato ed essermi lamentato per l’eccessiva calura della settimana, mi calo lentamente in una ghiacciaia. Quando riprendo a scalare sono come un bastoncino di pesce appena tolto dal congelatore: le dita hanno perso sensibilità e, allo stesso modo, tutta la poesia e la bellezza della parete ha lasciato il posto al desiderio di un caldo piumino. Mentre inizio la sezione di artificiale, ripenso alla stupida scelta di lasciare il mio puff alla base: certo, perchè le marmotte potrebbero averne bisogno!

Ancora una volta, devo lasciarmi pendolare per guadagnare la sosta ma ora non ho più la forza d’animo dei tiri precedenti e così l’attimo prima della partenza è una lotta con le mie paure. Poi, sapendo che comunque mi tocca, parto per un viaggio che poi si rivela decisamente breve. In ogni caso, questa è l’ultima lunghezza che saliamo e da lì iniziamo la nostra discesa verso valle. Normalmente ora si dovrebbe entrare nella normale routine a meno di spiacevoli inconvenienti che però, su una via spittata, difficilmente si verificano; certo la chiodatura oramai vetusta della prime calate lascia un po’ a desiderare ma comunque si rivela (fortunatamente) robusta a sufficienza. Mi trovo così sulla seconda doppia che, essendo in leggera diagonale, Luca ha rinviato un paio di volte per favorire la direzione della discesa. Tolgo l’ultimo rinvio e immediatamente mi sento tirare verso destra. “Figa! Figa! Figa!”. La mia corsa parte al rallentatore per poi aumentare vertiginosamente; questa volta il pendolo non è per nulla breve, anzi pare infinito e, per di più, ad un tratto faccio testa-coda e mi ritrovo per una frazione di secondi con la schiena rivolta alla roccia. Poi finalmente Luca riesce a bloccare le corde e ad arrestare la mia folle corsa, l’ultimo adrenalinico assaggio di Qualido!


Cavallo Goloso


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