CHOCO MUFFINS – TORRIONE RATTI
E alla fine una firma forse un po’ sbilenca ce la metto pure io, resta solo da scegliere il nome: Ravensburger potrebbe anche andare bene ma forse il chiaro rimando ai puzzle risulta un po’ eccessivo. Così alla fine, grazie anche all’aiuto di Micol, salta fuori Choco Muffins, certamente più appetitoso del precedente e soprattutto perfettamente calzante per la parte centrale della prima lunghezza. Ma questa è sola la punta dell’iceberg di una giornata semi campale.
Ancora una volta recluto il Corbis o forse è lui a proporsi dandomi modo di pensare che, se anche lui ha un certo senso del masochismo, forse l’aquila lo sta già forgiando a sua immagine e somiglianza. Fatto sta che, seppure con una fitta al cuore, scartiamo già a tavolino il ritorno alla Vicenza ma, del resto, visto il tempo della settimana rischieremmo di trovare i turisti alla base delle cascate del Niagara. Mi riprendo comunque immediatamente pensando all’alternativa: perchè non tornare al Torrione Ratti e vedere di liquidare quel progetto in solitaria? Propongo così al Corbis di puntare alla Grignetta senza però dipanare il filo del progetto che si aggroviglia nella mia testa.
Carico quindi il saccone con il materiale degno di una big wall (ovvio, non sufficiente per la Fisarmonica ma comunque considerevole per una normale apertura in Grignetta!) e poi informo l’amico solo quando siamo già a Lecco. Lui non fa una piega e così mi ritrovo schiacciato dal peso della ciondolante appendice sulla schiena: ma del resto me la sono cercata!
La giornata si preannuncia calda e soleggiata ma quando raggiungiamo la base della parete il cielo ha già iniziato a diventare lattiginoso. La cosa, se da un lato mi desta un briciolo di preoccupazione, dall’altro renderà la salita ancora più epica! Non dico nulla e mi appresto ai primi metri di marcio: qui, certo, Ravensburger starebbe proprio bene!
Salgo lentamente fino alla bella fessura ideale per un paio di friend deciso, questa volta, ad affrontare diretto la successiva placca compatta. Salgo quindi sulla sinistra e poi afferro il gradino a destra: potrei quasi bivaccare con quella presa in mano, mamma se sono forte! Ma di proseguire non me la sento proprio: i friend sono un po’ troppo in basso e così inizio a martellare il primo chiodo di giornata. Il ferro entra ma non canta, insomma un bell’aiuto psicologico ma, probabilmente, dalla ridotta efficacia! E ora non mi resta che estrarre dal cilindro l’FF che c’è in me, già svegliato dalla scelta poco caiana di cercare il difficile nel facile! Alzo il piede destro su un appoggino e poi, grande gesto atletico, faccio mano piede sul gradino col sinistro afferrando con la mano corrispondente il bordo alto della placca. Sono fuori e contemporaneamente salvo! E ora non mi resta che ripercorrere la strada già nota passando per lo stupendo tratto a blocchi compatti che tanto ricorda i pezzi di cioccolato dentro un muffin!
Raggiungo quindi la cengia con l’albero e attendo che il Corbis mi raggiunga mentre studio la sezione successiva. Questa volta salirò più diretto per un muro solcato da alcune fessure che dovrebbero garantirmi buone possibilità di protezione. Lascio quindi la sosta ma subito il progetto cambia in corso d’opera: il muro si rivela eccessivamente ripido costringendomi ad infilarmi nella spaccatura alla sua destra. Riesco comunque a salire ma zigzagando tra le belle placche e cercando questa volta il facile nel difficile. Il caiano pareggia contro l’FF!
La roccia non è certo il massimo della vita, un po’ erbosa e a tratti apparentemente poco affidabile anche se, in realtà, non mi resta in mano nulla ma l’istinto di sopravvivenza mi consiglia di piazzare più materiale possibile. Il risultato è che salgo lentamente, osservando guardingo ogni possibile via d’uscita da quello che sembra, ogni passo di più, un finire dalla padella alla brace. Continuo a salire fidandomi poco delle protezioni piazzate fino a infilare, a circa metà del tiro, un paio di friend che sembrano essere a prova di bomba. Con la massima calma continuo comunque a muovermi come sulle uova fino alla fessura finale che mi deposita su una cengia erbosa spiovente dove inizio a predisporre la sosta impiegando più tempo che a costruire la Sagrada Familia! Finalmente Corbis può iniziare a salire con la stessa tranquillità di una vittima che si avvia all’altare sacrificale senza pur dare alcun segno di tentennamento.
Proseguo quindi lungo la facile fessura che mi porta verso il diedro sopra le nostre teste. Ancora una volta l’istinto caiano si desta dal torpore e mi spinge a salire là dove sarebbero passati i padri. Peccato però che qualcuno da lì sia già salito, tanto è vero che scovo un chiodo vecchio e arrugginito che mi resta in mano al solo toccarlo. L’esperienza mi da una scossa: continuare per il diedro (che tra l’altro in alto sembra tutt’altro che facile e solido) significherebbe di fatto creare una variante ad una salita già esistente e quindi, per l’ennesima volta, infangare i sogni di gloria. Quindi mi do una scrollata di dosso e, solo dopo aver appena sfiorato il diedro, traverso decisamente verso destra cercando di andare a prendere un’altra bella fessura. La traversata non è certo una passeggiata ma io, da buon cocciuto, riesco ad avere la meglio sullo scorbutico passo e guadagnare così la fessura verticale. E qui la parete offre un altro regalo: subito a destra della spaccatura, la roccia sale a facili blocchi in direzione della cima; il richiamo è troppo forte e così tiro diritto con la massima velocità consentitami da una corda a cui sembra essersi attaccato un TIR. Tirando e strattonando riesco comunque a uscire dalle difficoltà guadagnando un ottimo punto di sosta su clessidra da cui recupero il paziente Corbis. Ma ora che la vittoria sembra una semplice formalità, il Corbis decide di andare a ispezionare quel diedro marcio da cui mi sono ben guardato dall’avvicinarmi: la visita gli costa un certo sbuffare nonché una considerevole perdita di energie prima di uscire comunque indenne dalla trappola in cui si è andato ad infilare.
Complimentandomi per l’impresa, gli offro quindi la lunghezza finale che ci condurrà sulla sommità del Torrione. L’amico accetta l’invito e così mi trovo a fare da passeggero sui metri conclusivi che ci portano dove la parete termina di spingersi verso l’alto. Ma ora, prima di poter considerare vinta la partita, dobbiamo solo scovare la sequenza di doppie che ci riporti alla base perchè, se da un lato abbiamo vinto la parete, dall’altro ci troviamo ora in sua completa prigionia! Inizio così a perlustrare la cima avanti e indietro alla ricerca della fatidica prima calata finchè, dopo un abbaglio per una vecchia sosta arrugginita, riesco a imbattermi casualmente nella nuova fiammante catena in acciaio chiudendo così il cerchio su questa nuova pagina di caianesimo.
Cavallo Goloso
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Dopo una settimana sono ancora diretto verso il Torrione Ratti ma questa volta le scarpe sono una destra e una sinistra. Lo zaino invece è nettamente più carico e pesante: è un macigno che grava sulla spalle cercando in ogni modo di farmi fare la fine della tartaruga. Al suo interno si trovano due corde, rinvii, moschettoni, friends tra cui i residuati della Ande, dadi, chiodi e mazzetta; questa volta voglio salire un altro gradino della scala del caianesimo: lo spigolo che si spiattella davanti agli occhi appena si arriva al Torrione e da cui, sembrerebbe, non passi nessuna via. Questa volta però non intendo aprire l’ennesimo cantiere stile Fisarmonica, la linea dev’essere semplice e scalabile per lo più in libera, tanto più che in solitaria non è il caso di cacciarsi troppo nei guai!
Così, stando alla “nuova” etica (in fondo si tratta “solo” di adeguarsi allo stile del Nuovo Mattino!), devo già trovare un’alternativa alla salita diretta dello spigolo dove la parete sembra eccessivamente repulsiva, rivolgendomi invece alla parete di sinistra.
I primi metri sono al cardiopalma, su roccia tenuta insieme in stile puzzle 3D: scalando sulle uova, guadagno finalmente una compatta fessurina dove piazzare un bel Camalot per poi tentare l’assalto del muretto soprastante. Ma la roccia verticale e compatta mi rimbalza come fossi una palla da tennis facendomi ripiegare nel canalino a sinistra, per poi arrivare ad una porzione di stupendo calcare ripieno: è come scalare su uno di quei biscotti al burro in cui affogano tocchi di cioccolato, peccato che qui sia tutto carbonato di calcio! Superata quindi la particolare sezione, raggiungo un albero dove piazzare la sosta conclusiva della prima lunghezza, dove dovrebbe passare anche la classica via dello Scudo. Ora dovrei salire un diedrino a destra per poi raggiungere finalmente l’agognato spigolo ma il Torrione mi gioca un tiro mancino: mentre osservo ciò che mi sovrasta, l’occhio cade su un segno inequivocabile. Sulla placca compatta dello spigolo, che rappresenta l’incognita della salita, spicca un anello metallico: da lì, chissà quando e chissà chi, qualcuno è già passato così, se voglio scalare sul vergine, devo fare come Baglioni! Non mi resta quindi che rivolgere le attenzioni al muro verticale che mi sovrasta: unendo i puntini, si delinea una possibile linea di salita, non resta quindi che mettersi in gioco e riprendere la strada dell’ignoto! Inizio quindi a traversare verso destra scoprendo inaspettati appigli che mi permettono una progressione lenta ma efficace fino ad un breve diedrino che sale verso l’alto: la mazzetta canta il suo pezzo mentre un universale sparisce dentro la frattura. Il passo seguente non sembra per nulla banale ma viene subito addomesticato dallo 0,4. E ora mi trovo appeso: poco più a sinistra la parete sembra offrire un punto di debolezza ma su roccia apparentemente poco affidabile; in alto invece è tutto maledettamente compatto e verticale. La situazione precipitata rapidamente in uno stallo totale: sono indeciso tra rinunciare o tentare di proseguire. Certo, se fossi assicurato da un compagno, potrei forse anche provare un paio di passi in libera per uscire da questa posizione ma le modalità in cui sto affrontando la scalata non mi danno sufficienti garanzie per un tale azzardo. E allora non mi resta che provare a proteggermi nel fessurino alla mia sinistra ma la psiche inizia a vacillare perchè proprio non voglio fidarmi del micro dado appena incastrato, così, per la seconda volta, martello un bel chiodo nella spaccatura. Questo entra inizialmente cantando poi, quando è ormai a fine corsa, la roccia fa un suono sordo e inequivocabile. In basso si apre un’altra frattura, estraggo il chiodo e i rumori sinistri si ripetono mentre la nuova spaccatura si allarga sempre di più: il pezzo di roccia si stacca e precipita verso il basso: per oggi basta così. Un po’ a malincuore e comunque non del tutto sicuro della decisione presa, seguo il sasso tornando al saccone che pazientemente mi attende alla base della parete.
Ho salito il gradino solo per metà assaggiando una nuova dimensione in cui si affrontano timori, indecisioni e autocontrollo. Mi sono estraniato dal mondo esterno, trovandomi faccia a faccia con la parete mentre ne ho studiato le pieghe, ne ho scovato i punti deboli cercando di unirli in una linea che mi portasse fino in vetta. Ma ora la spezzata giace lì, incompleta quasi morente nel nulla: dovrò raccogliere le forze, caricare le batterie e poi ripartire, matita alla mano, per completare l’opera iniziata.
Cavallo Goloso
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