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BRACCIA DI PIOMBO – BUCO DEL PIOMBO

vernerdì 12 giugno ’09


La macchina romba lungo la statale per Erba quindi inizia a salire per gli stretti tornanti che conduco all’eremo di San Salvatore. Sono accolto dal silenzio e da un senso di solitudine. Lasciata l’auto, attraverso il prato avvolto nei miei pensieri. Nel giro di poche settimane è già la terza volta che percorro questa mulattiera. Il primo approccio con le vie sportive del Buco risale a una decina di giorni fa quando con il Clod ho salito Giurassica. Poi, sabato scorso sotto un cielo plumbeo mi sono avventurato alla base della parete: volevo testarmi in solitaria, ma dopo un tiro ho abbandonato il progetto sia per il vento freddo che aveva iniziato a battere la parete sia per il meteo poco rassicurante.

Sono ancora da solo, coperto dall’azzurro lenzuolo del cielo. Risalgo la ripida traccia, oltrepasso la cascata e quindi la corda fissa raggiungendo l’attacco. Ha quindi inizio il rituale della vestizione: ogni azione è soppesata e meditata, dal posizionamento dei rinvii alla sistemazione della corda. E poi inizio. La concentrazione è massima: il tiro impegnativo ma comunque ben protetto e la salita in auto assicurazione, richiedono tutta l’attenzione. Supero lo strapiombino che chiude la visuale alla parte alta della parete, quindi proseguo per placca verticale uscendo finalmente in sosta. Blocco la corda e inizio la discesa. Dalla base, riprendo a salire recuperando il materiale. Questa tecnica di salita comporta una certa dosa di ripetitività: ogni tiro deve essere percorso in salita due volte con il risultato che l’arrampicatore copre il doppio del dislivello della parete. Poi c’è il recupero del sacco in cui si spera che quest’ultimo non decida di incastrarsi, obbligando il solitario ad una seconda discesa. Fortunatamente, nonostante gli sfregamenti e i colpi inflittigli contro la roccia, il “compagno” non mi avrebbe dato alcuna noia durante l’intera salita. Sul secondo breve tiro mi sorgono alcuni dubbi: la lunghezza è in traverso e quindi la discesa e la successiva risalita non saranno banali. Con alcuni brevi pendoli, risolvo però anche questa incombenza. Giro lo sguardo verso l’alto per ammirare il successivo problema che mi dondola sulla testa con un ghigno di sfida appena accennato. E poi, più sopra, gli alberi. Riprendo la scalata. Cerco gli appigli, poi gli appoggi e lentamente guadagno preziosi metri. Raggiungo quindi la sezione finale leggermente strapiombante. Sopra lo spit, una grossa lama infonde una certa dosa di fiducia, ma per i piedi non c’è nulla di veramente buono. Estraggo la staffa e supero il passaggio. Un’altra sezione impegnativa mi permette di guadagnare l’ultima protezione prima della sosta. Mi manca solo l’uscita. Mi alzo, ma non riesco a passare: sono sopra lo spit e sento un brivido freddo corrermi lungo la schiena. Disarrampicando, guadagno la protezione. Nuovamente entra in gioco la staffa che mi permette di raggiungere altre buone prese da cui agguanto la sosta. Il più è fatto! Le braccia sono indolenzite, ma la via oramai ce l’ho in tasca. Ridiscendo per poi risalire assicurato alla corda. Voglio tentare la libera che vedo sfuggirmi dalle mani solo all’ultimo spit dove, spostatomi troppo a sinistra, non trovo nulla a cui aggrapparmi vedendomi così costretto ad abbandonarmi al sostegno della corda. Infine, l’ultimo tiro. Rapidamente raggiungo la sommità della parete sulla quale sono stato impegnato per ben 2 ore e 20: torno nuovamente a calarmi, ritornando alla sosta sottostante. La discesa termina quindi con altre due doppie che mi depositano alla partenza; sul sentiero del rientro sono nuovamente in preda ai miei pensieri che ripercorrono le ultime ore di completo isolamento.


Cavallo Goloso


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