CANALE DEL MASSO INCASTRATO O CANALE EST – GRIGNETTA
domenica 07 gennaio ‘18
Ravano doveva essere e ravano è stato, forse anche sopra ogni più rosea aspettativa se tale si può definire lo sfacchinare senza meta apparente prima e, soprattutto, dopo la parte “tecnica” della giornata. Eppure il Jag mi aveva ben avvisato e la mia natura, da bravo caiano, non può che rallegrarsi per la lotta di giornata. Il preambolo è già tutto un programma: ritrovo verso le 6 per andare in Grignetta a “vedere” un canale. Storco il naso, infilo la frontale nello zaino e sono pronto per affrontare la “notte”. Poi, sarà perchè il ritrovo ai Resinelli sembra decisamente troppo presto, ce la prendiamo comoda con i preparativi tanto da lasciare l’auto verso le 7:30 e infilarci lungo la pista da bob che ci deve portare al sentiero della traversata bassa nonché unico momento della giornata in cui sarebbero tornati utili i ramponi. Siccome però tutti e 7 abbiamo voglia di spaccarci l’osso del collo o, alla meglio, piroettare per aria e atterrare pesantemente col deretano, affrontiamo la lastra ghiacciata che ricopre la mulattiera senza curarci del rischio scivolata col risultato che ci muoviamo come un gruppo di pazienti della clinica riabilitativa fino ad uscire dalla pista di pattinaggio e infilarci nel bosco. Quando poi finalmente il canale si profila sopra le nostre teste, noi continuiamo a seguire il sentiero allontanandoci dal nostro obiettivo perchè, almeno così ci viene fatto credere, dovrebbe essere più comodo raggiungere la parte “tosta” salendo da destra. Sarà ma il risultato è che iniziamo a vagare come raminghi per paglioni gialli e tanto ripidi da richiedere quasi un po’ di “grass tooling” cercando di rientrare verso il nostro canale. Beffarda poi la Grignetta si diverte a scavare continue vallette e impluvi dietro ogni crinale che ci si para davanti finchè, finalmente, raggiungiamo il nostro obiettivo. La vestizione ci porta via il tempo necessario ad una sposa per agghindarsi tanto che inizio a fremere e a domandarmi se siamo venuti qui solo per imitare i camosci o per provare a mettere insieme una specie di salita alpinistica finchè non riesco più a tenere chiusa la molla e inizio a pedonare il canale seguito a ruota dal Jag. Ci bastano però pochi passi per arrivare già alla prima stazione: un breve saltino roccioso sul quale non posso certo sfigurare. Do un occhio alla strettoia, trovo un appoggio alto per il sinistro, lo carico e mi spingo oltre tornando rapidamente a pestare neve. La prima prova sembra passata egregiamente ma il canale ci aspetta al varco poco oltre con qualcosa di ben più impegnativo. Sono ancora col Jag a contemplare il grosso masso incastrato e studiare la migliore linea per superarlo mentre sfiliamo la corda dallo zaino e mi carico i pochi ferri che abbiamo con noi. Picche e ramponi restano nelle zaino mentre sarebbero gradite una muta e, soprattutto, un bel paio di pinne: la roccia infatti trasuda acqua da tutti i pori costringendoci ad affrontare un’interessante doccia gelata senza shampoo. Con perfetta tecnica da diedrista, sperando che le suole degli scarponi non inizino a fare aquaplaning contro le facce della struttura, raggiungo il primo punto dove potermi facilmente proteggere salvando definitivamente le caviglie ma soprattutto il Jag dal rischio di piombargli addosso come un sacco di patate. Mi alzo quindi proprio sotto il macigno che chiude il canale e alla cui base penzola un cordone zuppo. Lo rinvio, lo tiro e quindi guadagno un buon appoggio e da lì il termine delle difficoltà. Di fatto anche la parte alpinistica giunge a rapida conclusione ma lo stesso non si può dire per la lotta con l’alpe. Guadagnando infatti ancora un po’ di quota facciamo l’incontro con l’elemento che fino a quel momento mancava alla salita ma di cui, sinceramente, non sentivo particolare mancanza soprattutto dopo la settimana alle Calanques: il signor Eolo! Il ciccione paffuto inizia a sferzarci fastidiosamente mentre ci infiliamo in un nebbione da pianura padana novembrina. Capiamo di essere sbucati fuori dal canale solo perchè il pendio si è trasformato in un versante ma individuare da che parte dovremmo andare è un’altra cosa. Così proviamo a seguire l’unica cosa logica da farsi: perdere quota e evitare di salire alla vetta che da qui dovrebbe distare una mezza infinità di metri di dislivello oltre che poi ad obbligarci ad un periplo per la Grignetta di cui farei volentieri a meno. Accendiamo quindi il radar caiano mentre ci affidiamo all’unica donna ora presente e abitualmente accecata; solo che ben presto ci accorgiamo di esserci affidati alla sorella, la dea della sfiga, tanto che iniziamo a vagare per bassi mughi cercando di aggirare i salti rocciosi che ci si parano davanti. Sembriamo gli Ebrei durante l’Esodo, affidati alla stessa agenzia viaggi di Ulisse al rientro da Troia: abbiamo il sentiero ad un tiro di schioppo ma anche noi ci “divertiamo” a girovagare all’infinito prima di tornare finalmente sulla traversata bassa per poi arrancare come durante la ritirata di Russia (o una normale giornata da lotta con l’alpe d’altri tempi) verso l’auto.
Cavallo Goloso
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