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COULOIR GERVASUTTI – TOUR RONDE

lunedì 31 ottobre ‘11


Domenica scorsa a Carate ho l’incontro tanto inaspettato quanto illuminante col Giaguaro che mi parla del Bianco e dei suoi couloir: mi si illuminano gli occhi, inizio a fantasticare mentre rivedo la Combe Maudit, il granito rosso delle pareti e gli imponenti seracchi. Lunedì lancio la pietra ma ritraggo subito il braccio: il lavoro mi assorbe completamente e non ho quasi il tempo per andare a cagare, figurarsi smanettare su internet alla ricerca delle relazioni!

Ho comunque liberato la lepre e i segugi sono già nella sua scia tanto è vero che nel giro di una decina di minuti Cece ha già scovato salita e relazione. Dobbiamo solo sperare nel meteo.

Sabato e domenica non s’ha da fare: sono impegnato con l’alpinismo giovanile e anche Cece non c’è. Ci accordiamo quindi per il lunedì.

Il ritrovo alle 6 ad Arluno è abbastanza sconvolgente: i brutti ceffi al parcheggio non ispirano grande fiducia, attendiamo un paio di minuti Fabio e poi entriamo in paese dove lasciamo un’auto e partiamo verso occidente. Quest’anno abbiamo visitato le Dolomiti, abbiamo fatto un tentativo al Masino naufragato per le condizioni himalaiane e ora ci muoviamo verso il regno del caiano. Se tutto andrà bene, pioveranno bollini!

La cosa più complicata da risolvere in auto è convincere Fabio a fare il biglietto di andata e ritorno della funivia. Spararsi più di 2000 metri da punta Helbronner verso Courmayeur è un’idea da maniaco suicida. Oltretutto, anche allo scozzese più convinto sarebbe subito evidente che la suola consumata degli scarponi ha un costo ben superiore alla differenza tra il biglietto di sola andata e quello di andata e ritorno. Detto e fatto, è quindi facile convincerlo a lasciare i sacchi a pelo nel bagagliaio della macchina mentre anche i nostri sogni di gloria sembrano volere starsene tranquilli dietro i sedili dell’autovettura. Un malefico strato nebbioso staziona sull’autostrada impedendoci di vedere le vette circostanti: mano a mano che guadagniamo quota, ci immergiamo sempre di più nell’informe massa grigia. Inutile dire che ho il morale al caldo, sotto le chiappe. Siamo entrati nel tunnel a gran velocità quando Fabio viene illuminato; dal fondo della galleria una luce giallastra inonda la bocca d’uscita dell’antro: il Bianco si presenta maestoso davanti ai nostri occhi; la tavolozza dei colori è scarna ma dalle giuste tinte: il candore della neve divide lo spazio con il rosso del granito mentre il limpido azzurro del cielo incornicia l’imponente immagine. Possiamo solo sbavare mentre dietro di noi le montagne affondano in un soffice letto di nuvole.

Parcheggiamo la macchina e ci avviamo al banco della sanguisuga che ci svena per benino lasciandoci in compagnia del soffio del vento nel vuoto assoluto del portafoglio mentre attendiamo la funivia che ci depositerà sui ghiacci eterni.

Gli sci e le ciaspole non servono a un cazzo: ha nevicato pochissimo e comunque la traccia è ben marcata così, dopo una scivolata di poche centinaia di metri, affondiamo i legni nella neve e ci addentriamo nel paradiso.

Estasiante. Il panorama è semplicemente sublime, da bava alla bocca. Le pareti strizzano l’occhiolino. Vien voglia di scavarsi una buca nella neve e star qui una settimana. Fanculo il fatto che da domani la funivia verrà fermata, fanculo il lavoro. L’immensa distesa pullula di ogni genere di salita. È un po’ come andare al supermercato quando fanno le super offertone: qui ci sono tanti bollini da riempire centinaia di tessere caiane!

Non siamo ancora all’attacco che già pianifichiamo i prossimi mesi estivi: dovremmo piazzare una tenda e stare qui una settimana. Cece sforna un’infinità di salite, io sogno ad occhi aperti, Fabio è completamente estasiato. La temperatura sale mentre scatto foto a raffica completamente preda di una crisi-giapponese.

Il couloir Rebuffat alla Tour Ronde è un po’ secco: potrebbe essere una salita epica, un’impossibile estremismo che ci catapulterebbe nell’oscura notte a 3500 metri di quota, senza nulla per il bivacco mentre i nostri sacchi a pelo gongolano nel bagagliaio della Yaris. Passiamo oltre e ci focalizziamo sul più facile Gervasutti.

Progrediamo in conserva: il sottoscritto ad aprire la via, Cece e Fabio dietro. Anche qui le condizioni non sono certo ideali ma la prospettiva di una notte all’addiaccio mette le ali a ramponi e picozze. Una prima placca gelata mi fa consumare la totalità dei chiodi che userò in tutta la salita poi è solo neve: a tratti compatta, in altri polverosa e inconsistente e poi simile ad un cartone fragile. Continuo a salire senza praticamente proteggermi: una picozzata dietro l’altra, l’uscita del canale si fa sempre più vicina. Dietro di me si apre il versante della Brenva e il Grand Pilier d’Angle, sbavo mentre mi entusiasmo davanti a quei seracchi pensili.

Il canale si biforca e io punto a sinistra dove sembra più semplice. Le punte dei ramponi annaspano mentre graffiano la roccia sotto una farina bianca inconsistente. Mi sposto un po’ e continuo a salire: le corde non vengono e alla fine decido di recuperare i miei amici. L’uscita è poco sopra, leggermente a sinistra. Riparto e raggiungo la sella: la nord si apre davanti ai miei occhi. Dovremmo scavalcare la cresta, passare sul versante in ombra e superare il gendarme che ci separa dalla vetta. È decisamente meglio tornare indietro e puntare a destra. L’orologio suona implacabile il suo maledetto tick tack.

Dalla sosta mi sposto in traverso verso destra e ritorno nel canale principale. Uno spuntone con fettuccia è l’unica protezione tra me e i miei amici. Riprendo a salire in verticale. La neve è inconsistente e ricopre a mala pena le rocce circostanti. Raggiungo una fessurina ideale per lo 0.4 e poi traverso a sinistra sperando di non mettere il piede in fallo. I ramponi stridono sul granito, ma la neve è sufficiente per sostenere il mio peso. Un passo dietro l’altro, con estrema cautela, guadagno lo scivolo finale e quindi la cresta: sono fuori ma le corde pesano maledettamente, come se mi stessi tirando dietro un TIR.

Faccio sosta e recupero Cece e Fabio. Siamo fuori dal “duro” e non ci resta che raggiungere la vicina vetta; i bollini piovono dal cielo come coriandoli: sembra di essere a Carnevale. Ma il carro del tempo, col suo gigantesco orologio, ci passa davanti: abbiamo poco più di due ore per tornare alla punta Helbronner e evitare un bivacco a 3400m.

Il più rapidamente possibile ci buttiamo sulla normale: il canale di discesa è piuttosto ripido ma fortunatamente tracciato e innevato così che in un attimo siamo alla base della Tour Ronde.

Tick-tack, tick-tack. Guardo l’orologio in continuazione ma al contempo sono abbastanza sicuro che questa notte dormirò sotto calde coperte. Cece è scatenato: passa davanti come ai vecchi tempi e imprime un ritmo forsennato mentre il sottoscritto inizia a sentire i primi sintomi di stanchezza; non ho bevuto praticamente nulla e, oltre alla colazione mattutina, ho ingoiato solo un Ringo alla base del couloir. Va bene l’efficienza energetica ma anche il motore meno dispendioso non può andare ad aria! Ho terribilmente paura di una crisi di fame, ma nonostante ciò continuo imperterrito a salire lungo il pendio.

La mazzata è dietro l’angolo: abbiamo sbagliato percorso, saremmo dovuti scendere ancora un po’, aggirare questo maledetto panettone e risalire quello successivo. Ho un attimo di sconforto ma mi butto anch’io nella discesa. Inizio ad essere preda dei dubbi, spero che almeno il Torino abbia un bivacco con calde coperte. La prospettiva di passare una notte senza cibo e con poca acqua mi scuote: mi accodo a Fabio mentre saliamo lentamente. L’orologio si muove implacabile verso le 4 e 30.

Mi rincuoro solo quando Cece raggiunge il deposito degli sci; noi siamo poco indietro ma oramai abbiamo la vittoria in tasca: 30 minuti per raggiungere la vicina punta Helbronner sono un tempo più che comodo. Le scale che conducono alla stazione sono una liberazione e, dopo poco più di 6 ore, chiudiamo il nostro cerchio. Il sole che si tuffa dietro la mole del Bianco illuminando il Dente del Gigante e Les Grandes Jorasses mentre la mia immaginazione galoppa libera sulle pareti sognando le salite future.


Cavallo Goloso


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