CANALE DI DESTRA – PIZZO RECASTELLO
sabato 22 gennaio ‘22
Le frontali rischiarano
discrete la notte almeno finchè il Walter, al primo dubbio su dove
si sia cacciato il sentiero, attiva la massima potenza e il fascio da
discoteca che si trova in testa penetra l’oscurità come il
coltello un panetto di burro. La mia frontale continua invece a
emettere un fioco bagliore tipo lumino del cimitero sufficiente per
non farmi inciampare nel sasso successivo. In ogni caso arriviamo
indenni al bivio tra il sentiero invernale (una super direttissima
della morte certa che ci goderemo in discesa) e quello estivo sul
quale alla fine decidiamo di proseguire considerando più probabile
l’essere colpiti da un meteorite piuttosto che finire sotto una
valanga. Così iniziamo a vagare nella direzione opposta al rifugio
fino all’unico cartello che indica Valbondione o il municipio: non
vedo la faccia del Walter perchè ho in testa il lumino del cimitero
ma immagino che sia perplessa come la mia eppure proseguiamo
imperterriti confidando che la fortuna aiuti gli audaci. Ed in
effetti è così: incrociamo la mulattiera per il rifugio e, a quel
punto, l’unico ulteriore pericolo che incontriamo è una colata di
ghiaccio sulla quale ci improvvisiamo ballerini sui pattini con la
grazia di due gatti di marmo. Poi, graziati dalla giuria, non ci
rimane che l’ultimo tratto di sentiero prima di arrivare in vista
del rifugio dove siamo accolti dall’ennesima urlata di Eolo. Walter
va a caccia: fa il periplo della struttura ma nella direzione
sbagliata e, all’ultima porta quando oramai inizio a temere di
dover scavare una truna nella terra, individua l’invernale, una
confortevole, “calda” camera con pure la luce come comfort!
L’effetto tepore però è una cosa passeggera e anche molto rapida
e ben presto ci chiediamo come sia possibile che, se ci sia tutto
questo caldo, il nostra alito si condensi in un simpatico batuffolo,
così, consumata la cena (che per il Walter è lauta e per me appena
sufficiente) raccattiamo tutte le coperte e ci infiliamo nei sacchi.
La sveglia arriva poco prima dell’orario stabilito quando una
coppia fa irruzione nella struttura: i bergamaschi hanno proprio il
canianesimo nel DNA. Noi però ce la prendiamo comoda anche perchè
non abbiamo la minima idea di dove sia il Recastello e uscire al buio
a giocare a mosca ceca non ci pare una buona idea tuttalpiù che
fuori c’è già l’amico Eolo che blatera a più non posso. Ci
rigiriamo ancora un po’ al caldino finchè arriva il momento di
forzarci ad uscire dal bozzolo e, soprattutto, dalle quattro mura del
bivacco per farci schiaffeggiare dall’arietta pungente. Dopo una
breve passeggiata individuiamo la zona del presunto attacco e
iniziamo quindi a salire: questa volta siamo gli unici sulla montagna
e ci toccherà sobbarcarci lo sporco (e faticoso) lavoro della
tracciatura. Ma non siamo forse qui per questo? È evidente che in
noi debba scorrere un po’ di sangue bergamasco! Risaliamo il pendio
sempre più certi che ci stiamo infilando direttamente davanti la
bocca urlante di Eolo, quasi come se volessimo deliberatamente
mettere l’orecchio davanti al megafono ma, d’altra parte, non ci
sono alternative. Se non altro la neve è generalmente portante e
pedonare non è così faticoso: lascio l’ampio pendio e mi infilo
nell’evidente canale mentre poco sopra la neve turbina impazzita.
Oltre la metà il vento ci spinge da dietro mentre spilli ghiacciati
ci sferzano il volto ma noi proseguiamo convinti che più in alto la
situazione possa migliorare. E in effetti è così: il Walter intanto
è passato all’avanguardia, supera un breve tratto aperto e poi si
infila in un canalino più stretto dove finalmente siamo al riparo
dal contenuto dell’otre. Arriva alla base di un paio di saltini di
roccia (che io supero come stessi scalando con le scarpette!) e poi
alla fine del canale che muore contro la cresta. Mi immagino il
baratro sull’altro versante, un dirupo senza fine solcato da roccia
e ghiaccio come solo un film di serie B potrebbe immaginare. Invece
dall’altra parte è autunno, il sole è tiepido, non gira aria e si
sale senza grossi problemi tra sfasciumi e erba ingiallita. Seguiamo
la cresta chiedendoci dove dovremmo immetterci nel canale nord come
la saccente relazione continua a ripetere finchè la croce di vetta
ci appare come un miraggio poco lontano che si concretizza in una
manciata di minuti.
Solo qualche giorno dopo la salita, rivedendo meglio le relazioni, diventa chiaro che il couloir dei Ratti che pensavamo di aver salito è in realtà più a sinistra di quello che abbiamo superato: ecco spiegato l’arcano del mancato rientro sul canale Nord!
Cavallo Goloso
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