CANALONE OVEST – PIZZO DI COCA
mercoledì 05, giovedì 06 gennaio ‘22
Se il buongiorno si vede dal mattino, noi iniziamo col piede sbagliato. Bastano infatti pochi tornanti nel bosco perchè finiamo diritti e ben presto ci troviamo a inseguire un sentiero per capre con i rami che si avvinghiano agli zaini che torreggiano sopra le nostre spalle. Il Walter è sempre più perplesso mentre il sottoscritto prova a salire ancora un po’, giusto per togliersi anche l’ultimo dubbio (come se già non fosse chiaro che da qui non sarei mai potuto passare con gli sci in spalla) finchè finalmente decidiamo per l’unica opzione saggia: girare i tacchi e cercare il sentiero giusto che, dopo una breve discesa, si snoda evidente tra gli alberi. Riprendiamo così a salire fino ad arrivare in vista del vicino rifugio ed è qui che Eolo inizia a tuonare isterico: vortici di neve gelata si alzano e ci colpiscono ma d’altra parte la cosa non ci giunge inaspettata, altrimenti non saremmo venuti a cercare riparo da queste parti. Solo che, a quanto pare, almeno per oggi, le difese dalla furia dei venti sembrano un vero colabrodo. Mi tiro su il cappuccio e supero gli ultimi metri mentre il Walter è già sparito al riparo del bivacco invernale. Nella struttura c’è un certo tepore ma è solo l’effetto dell’essere scampati dalla tormenta perchè la sera il termometro non segnerà più di 3 gradi! Fuori, intanto, Eolo fa un casino che metà basta sbattendo il cavo dell’asta della bandiera e facendo risuonare la struttura col suo suono metallico; a tratti mi viene il dubbio che sia qualcosa di più grosso a venire mosso dal vento ma, imperterrito, preferisco convincermi che non corriamo alcun rischio di trovarci col tetto divelto. In ogni caso, per maggior sicurezza, mi infilo un po’ di più sotto il sacco a pelo e la coppia di coperte cercando di recuperare e tenermi stretto quel poco di calore che riesco a produrre. Dopo il canonico e affascinante tran-tran dello scioglimento della neve, aver ingurgitato tè come non ci fosse un domani e un vasetto di spaghetti Sai-Ke-Bon (di nome e forse di fatto solo perché in certe circostante il palato si fa meno esigente), ci accoccoliamo tra le braccia di Morfeo con l’idea che l’indomani probabilmente dovremo tornare a valle. Eppure alle 5:30 la sveglia suona ma fuori pure il concerto va avanti e noi ci giriamo dall’altra parte giusto il tempo di sentire che qualcuno ha aperto la porta esterna del bivacco per poi tornare a godersi la tormenta. Finisce così che ci alziamo poco prima delle 8, il tempo che altri tre vengano a farci visita mentre fuori il vento inizia a perdere un po’ di voce. Ci guardiamo in faccia e la domanda sorge spontanea: beh, potremmo andare a dare un occhio, no? Eccoci dunque a farci sbatacchiare dai gelidi aghi di neve: sono imbacuccato come se fossi alla giornata conclusiva prima di raggiungere la cima di un 8000 e, nonostante indossi piumino, guscio e guanti da -40, non soffro il caldo. Poco lontano dal rifugio incrociamo una coppia che ridiscende col vento in poppa, altri 3 li supereremo sul pendio sopra il lago mentre del quarto continueremo a vedere gli scarponi fino alla cima e, soprattutto, a sfruttarne le tracce. Al termine del primo strappo finalmente siamo raggiunti dai raggi del sole che però, più che illuminare la scena, non riescono a fare col risultato che continuo a muovermi con gli strati dell’omino Michelin mentre almeno Eolo si è stufato di urlare e ora ci giunge solo qualche suo lieve sussurro. Arriviamo così al punto che aveva decretato la mia precedente ritirata e ora inizio a nutrire qualche speranza di raggiungere il fuggitivo ma, soprattutto, di riuscire a calcare la vetta. Quello però continua a pestare neve come se non ci fosse un domani mentre noi arranchiamo sulla sua traccia senza per altro doverci preoccupare di ricercare la via. Superiamo uno stretto canalino e poi siamo sui pendii finali: la vetta è lì, la sento ma continua immancabilmente ad essere irraggiungibile. Spingo sui quadricipiti e guadagno gli ultimi metri e poi, finalmente, sono sulla breve cresta finale. Eolo si fa un po’ meno afono ma mi sarei aspettato di dover fare il saccone da box mentre ora le sue sono solo lievi carezze. Davanti a me si apre l’arco alpino e le cime orobiche ma, soprattutto, l’agognata croce di vetta! Non male per una gita che fino a poche ore prima prevedeva al massimo una fugace ricognizione, no?
Cavallo Goloso
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