racconto del couloir della condotta forzata, valle spluga o val san giacomo (sondrio, lombardia)


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COULOIR DELLA CONDOTTA FORZATA – VALLE SPLUGA

sabato 15 dicembre ‘12


Non è che sia proprio convinto, l’anno scorso le uscite sulle cascate hanno portato poco divertimento e tanti patemi ma alla fine ancora una volta eccomi qui a preparare lo zaino per andare a spicozzare.

Carico tutto e vado da Micol; è quindi oramai sera quando mi accorgo di aver lasciato le picche in garage. Va bene che con la neve che sta mettendo giù, forse le cascate potranno essere sciabili, ma rinunciare completamente agli attrezzi mi pare un po’ un azzardo. Così sabato mattina anticipo la sveglia, torno a casa e precipitosamente (per quanto possa permettere prima un mezzo spala neve poi un bus di linea) vado a prendere Luca. Il risultato è scontato: 20’ di ritardo al Bione dove ci aspettano Cece, Colo e Luca 2. Carichiamo l’auto di Luca 2 e partiamo.

Piove; poi nevica e ancora piove. A Dubino è tutto bianco: sembra di essere in Siberia, coi fiocchi che cascano a badilate e la strada dello stesso colore sbiadito del cielo. Raggiungiamo Chiavenna e saliamo verso Chiareggio: continua a nevicare ma almeno meno fitto. Alla fine decidiamo di provare la cascata della condotto forzata perchè probabilmente per raggiungere le colate della val Febbraro dovremmo nuotare nella polvere. La nostra trincea ce la scaviamo comunque per raggiungere l’attacco dove serpeggia la stessa domanda: ma è salibile? Noi ci proviamo: parte Colo con Cece e Luca 2 mentre Luca mi propone di salire sul tratto a destra di un grosso masso. Lo guardo allibito per la sua convinta propensione al suicidio mentre si avvia all’appuntamento col patibolo. La mannaia è appesa ad un filo da sarta. Luca finalmente se ne accorge e scarta di lato salendo per lo stesso percorso seguito da Colo. Per il momento siamo salvi.

Anche la seconda lunghezza è come lo zio Paperone: avara e tirchia di ghiaccio. Prima saltiamo un passo nel vuoto su alcune piccole frange e poi ci infiliamo in un diedro ghiacciato. Il suono da tamburo è piuttosto inquietante ma d’altro canto la pendenza trascurabile ci da una certa garanzia di tenuta. In effetti tutti e 5 superiamo indenni anche questa lunghezza per poi affrontare il successivo salto e il canale che ci porta alla base dell’ultima colata. Abbiamo sparato i nostri colpi e a sfidare la sorte non ci pensiamo più, così mentre la cordata di Colo lambisce il tratto più ripido per poi uscire lungo il percorso che a suo tempo avevo seguito con Fabio, io e Luca optiamo per una salvifica traversata nel bosco. Scalando su neve farinosa appoggiata su alcune pietre, dopo un lungo run out guadagno il limitare della foresta e mi tolgo dalla traiettoria della falce della signora in nero che pendola sopra le nostra teste. Nel frattempo ha smesso di nevicare ma sono più bagnato di un nuotatore e in queste condizioni risalgo in auto comunque contento e appagato per la soddisfacente inaugurazione della stagione di ghiaccio.


Cavallo Goloso


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domenica 19 dicembre ‘10


C’è fermento nell’aria. C’è aria di fermentazione nell’abitacolo della macchina. ‘Sta puzza di merda è fitta come la nebbia a Milano! Apriamo i finestrini e diamo il nostro poderoso contributo all’inquinamento atmosferico. Fuori è ancora buio: abbiamo completamente sbagliato il momento in cui buttarci giù dal letto, rotolare in macchina e iniziare il viaggio verso il cristallino mondo delle cascate. Probabilmente non ricambiato dalle dirette interessate massacrate dal passaggio delle mie picozze, sentivo la mancanza di questo ambiente effimero e così insieme a Fabio inauguro la mia stagione. Raggiungiamo la malcapitata di turno con un avvicinamento che potrebbe spaventare solo un FFBoulderistaMilanesePlasticaro e con metodi scientifici e seguendo procedure degne di una centrale atomica decidiamo l’ordine di partenza; la tensione è alle stelle: mi sento come l’artificiere davanti all’incognita del filo rosso o del filo blu. Alla fine cedo e butto la carta. Ma la forbice ha la meglio e Fabio si aggiudica il primo tiro, prodigi di carta-forbice-sasso.

Tirando vigorose pedate, raggiungo la sosta: non mi fido granchè delle punte dei ramponi mentre annaspo alla ricerca di un appoggio. E poi arriva il mio turno. Mi sembra di essere un verme: striscio in una spaccatura del ghiaccio come se mi trovassi in una fessura e poi entro dal fruttivendolo. Solo cavolfiori; a montagne, ma solo cavolfiori. Non che mi vadano di traverso, ma un po’ di varietà non guasterebbe. In ogni caso, mentre il mio assicuratore si trasforma in un pupazzo sotto i fiocchi che iniziano a cadere, termino la lunghezza. Sul terzo tiro le mie condizioni psicologiche migliorano un po’ anche perchè alla sosta fallica costituita da un albero abbattuto ingessato dal gelo invernale, si trova Fabio mentre io mi dileguo proseguendo lungo un facile tratto di raccordo. Man mano che salgo, si svela una bella ma breve candela: mentre mi avvicino alla struttura già mi immagino su quel pilastro con la corda dall’alto. Ma come fossi solo davanti la vetrina di una pasticceria, il bello viene dentro: un parco giochi ben più interessante fa la sua apparizione proprio dietro la colonna. Un bel muretto ripido sulla sinistra è dove passeremo, mentre sulla destra le frange di una candela ancora non ben formata ci consigliano di girare al largo. Inizio il mio ravanamento: con la scusa che sono proprio sopra la sosta, devio subito dalla linea scelta spostandomi sulla sinistra. In realtà la mia baldanza è vinta dalla codarda incapacità di tentare la salita su quel muretto azzurro. Ma trovo la scusa (potrei scriverne un libro) anche sul nuovo percorso: ghiaccio troppo sottile. E allora ritorno a destra, ma molto a destra, ripassando sopra la sosta con gran piacere di Fabio che viene coperto da una nuvola di neve polverosa: la traversata degli dei. E poi ancora cavolfiori mentre sopra la mia testa i tentacoli delle meduse reclamano la preda. Non casco nella trappola e torno a spostarmi a sinistra; insomma, gira che ti gira, sono di nuovo sopra la sosta, ma in un punto dove non vedo Fabio. Davanti a me un saltino che devo per forza superare, a meno di continuare a traversare verso sinistra. Ma quel briciolo di dignità rimasta, mi impone di salire diritto spedendo al mio assicuratore altri ricordini: supero il muretto e quindi risalgo per un tratto facile. La salita è oramai terminata, ma manca ancora l’uscita sul sentiero, con superamento della staccionata protettiva. E qui mi cimento nell’iron-tooling: arpiono con la picca il cavo di protezione per poi afferrarlo direttamente con le mani e quindi scavalcare il parapetto raggiungendo la salvezza. Alpinismo estremo!


Cavallo Goloso


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