racconto di schillingsflue, haslital (berna)


|racconto|


SCHILLINGSFLUE – HASLITAL

sabato 03 ottobre ‘15


Il problema è molto serio, danno acqua da tutte le parti: nel lecchese, ad Arco e pure a Finale, quindi l’idea di un week end da FF crolla come un gigante dai piedi d’argilla. Quando guardiamo sconsolati la mappa delle previsioni, solo al nord delle Alpi sembra ci sarà il sole quindi è là che punteremo le nostre attenzioni. Certo, sembra piuttosto strano in questo periodo dell’anno passare oltre il Gottardo dove già mi aspetto l’avvicinarsi dell’inverno ma riesco comunque a scovare sulla guida una falesia esposta a sud che potrebbe fare al caso nostro così mi metto il cuore in pace, il piumino nello zaino e siamo pronti alla levataccia. L’autostrada scorre veloce e senza intoppi, ci infiliamo nel tunnel del Gottardo e poi sbuchiamo dalla parte opposta dove qualche avvisaglia di bel tempo inizia a fare timidamente capolino ma non è certo il sole che mi sarei aspettato! Così, con un velo di dubbio, imbocco i tornanti bagnati del Sussten mentre pennacchi bianchi cercano disperatamente di oltrepassare le cornici di vette che vigilano verso sud. Raggiungiamo il passo e poi ci buttiamo lungo la discesa, un’interminabile sequenza di curve e contro-curve che sembrano tendere all’infinito. Il tapis-rulant su cui corriamo in senso opposto al suo movimento finalmente arriva al termine: la strada smette di scendere e, in poco tempo, raggiungiamo e passiamo Meiringen. Da qui alla falesia dovrebbe mancare ancora poco: saliamo la strada in direzione Lucerna contando i tornanti fino al secondo verso destra dove dovrebbe partire una traccia nel bosco ma, ovviamente, di sentieri nemmeno l’ombra! Saliamo ancora un po’ e la scelta si rivela azzeccata: in corrispondenza di un grosso spiazzo, due inconfondibili climbers stanno sistemando il materiale così, trovato il parcheggio, non sarà per nulla difficile individuare anche la falesia. Infatti, lasciata l’auto, imbocchiamo l’evidente mulattiera ma, dopo pochi passi, raggiungiamo il termine della stradina senza aver individuato alcuna traccia. Maledizione al fatto di non aver guardato dove fossero andati i due climbers! Provo a salire tra gli alberi ma non scorgo tracce evidenti di passaggio: forse bisogno proseguire sulla strada asfaltata. Imbocchiamo allora il nastro d’asfalto ma, evidentemente, anche questa soluzione si rivela un buco nell’acqua: solo la presenza dei due arrampicatori ci da la conferma di aver lasciato l’auto al parcheggio corretto, quindi non ci resta che tornare indietro per chiarici la situazione, non ho certo fatto una sacco di chilometri e messo in subbuglio lo stomaco di Micol per poi non scalare nemmeno un tiro! Di nuovo al parcheggio, non ci vuole molto a capire dove avessimo sbagliato: giusto prima della mulattiera, una stretta ma netta traccia scende nel bosco; la imbocchiamo e, in pochi minuti, siamo alla parete calcarea. Una manciata di climbers è già occupata su alcuni tiri e durante la giornata pochi altri si aggiungeranno senza mai raggiungere la noiosa e fastidiosa ressa che spesso si incontra dalle nostre parti. Per non parlare poi del silenzio e della tranquillità che regna sovrana, disturbata solo da qualche incitamento. Scorriamo sotto la parete fino a raggiungere la zona che ci interessa ma ovviamente salta fuori l’ennesimo imprevisto: il gri-gri se ne sta comodo nel bagaglio dell’auto! Torno indietro, lo recupero e finalmente possiamo iniziare a scalare mentre l’imbraco già logoro tira gli ultimi respiri. I tiri sono lunghi, come preferisco, con protezioni non ascellari ma al posto giusto. La roccia non è certo quella del vicino Wenden ma ha l’indubbio pregio che anche sui tiri facili non risulta minimamente unta. Scaliamo un paio di lunghezze facili immersi in una foresta dal carattere molto americano (non mi stupirei più di tanto se dovesse fare la sua comparsa un enorme grizzly!) e poi provo a spingere un po’ sull’acceleratore. Il primo tiro duro mi riesce e quindi provo a puntare in alto inventandomi una contorta calata per posizionare la corda su un 7a; alla fine riesco a fare in qualche modo i movimenti ma restando comunque ben lontano dal riuscire a collegarli. Non ci tengo a rimettere le mani sullo strapiombo e quindi decido di completare l’autodistruzione nel settore centrale, il più interessante della falesia e che ha un vago sapore di monte Cucco. Scelgo uno dei tiri più semplici ma mi areno ugualmente all’uscita di un diedro strapiombante solo perchè sono in preda alla maledetta follia del volo. Così, sebbene la sequenza di prese sembri più che promettente, riesco ad ingegnarmi per evitare di lasciare materiale sul tiro e tornare così da Micol. L’avventura nel cuore della Svizzera a quel punto può dirsi conclusa e allora, dopo aver fatto capolino in una falesia che probabilmente solo di rado ha visto facce italiane, puntiamo ancora più a nord in direzione Lucerna circumnavigando il Sussten e evitando quindi la sua infinita sequenza di curve.


CavalloGoloso


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