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PASSO DI VAL VIOLA – ALTA VALTELLINA

sabato 11 luglio ‘15


“Salve buon uomo!”. Micol mi sfreccia di fianco pigliandomi per i fondelli. Grondo, accelero il passo e provo a starle dietro. “Scusa, perchè porti la bici in spalla?” “Perchè mi diverto: sono masochista! In salita mi piace faticare pedalando, in discesa scarrozzarmi il mezzo che mi logora la spalla! Ah, nello zaino ho una coppia di menhir, giusto perchè ero scarico di peso!”. E pensare che avevo anche pianificato una piccola divagazione rispetto il percorso di salita! Mi sarebbe piaciuto divagare per la vallata, raggiungere qualche alpeggio, tanto poi si sfreccia verso valle: già, basta mettersi a correre!

La giornata per la bici è tornata: all’inizio è un gioco di scatole cinesi dove trovare l’incastro giusto nel bagagliaio. Più che due ciclisti sembriamo due scappati di casa! L’idea é quella di ritentare la pedalata in val Viola ben sapendo che ora dovremo lottare con un caldo desertico comunque preferibile alle inondazioni tropicali dell’anno scorso! Detto fatto, attraversiamo la Valtellina (oramai mi sembra di fare l’autotrasportatore) e finalmente raggiungiamo Arnoga.

Chiaramente la normale manutenzione ai velocipedi è rimandata alla nostra memoria senile così che Micol si ritrova nuovamente con la sella che balla la lap dance; avendo però un temperamento stile generale della I guerra mondiale, issiamo le baionette e diamo comunque il via alla carica. Ma l’inizio del nostro campo di battaglia non è proprio dei più allettanti: la strada si inerpica lungo la vallata con un nastro d’asfalto che lascia qualche punto di domanda sulla scelta dei nostri mezzi. Senza tradire la nostra cocciutaggine, continuiamo comunque imperterriti la nostra salita finchè finalmente sotto le nostre ruote compaiono terra e sassi che ci accompagnano fino all’ambito rifugio Viola. Ma ovviamente la mia sete di fatica non può dirsi sopita: la gola è ancora riarsa e l’unico modo per placarla è continuare verso il passo annientando definitivamente il nemico. Povero illuso, non so che in realtà mi sto avviando verso il mio Generale Inverno! Così, questa volta da solo, mi alzo sui pedali e copro l’ultimo centinaio di metri che mi separano dal valico sul confine svizzero. Ora l’ideale sarebbe spronare la cavalleria e saettare sul versante opposto ma devo frenare la mia voglia da nuovo Cristoforo Colombo, girare il mezzo e sfrecciare sulla strada appena percorsa. Queste almeno sono le intenzioni se non fosse per il destino sempre in agguato e per il fatto che le Parche non tessono la tela come ce la si potrebbe aspettare. Sono appena partito che sento la ruota posteriore perdere d’aderenza, il copertone si affloscia e io sono a piedi. Foratura del bip! Cambio la camera d’aria rapido come un meccanico da F1 e inizio a darci dentro di pompa; peccato che quella non collabori! L’aggeggio infernale non gonfia un tubo! L’unica soluzione è tirarmi la bici sulle spalle e scendere verso valle sperando poi in qualche buon samaritano. Passano pochi minuti e, incredibile, sembra che la sorte volga nella direzione giusta: incrocio una guida di Livigno che in quattro e quattr’otto riporta la camera d’aria in condizioni di funzionare, peccato solo che questa, altrettanto rapidamente, torna a sgonfiarsi! A quel punto sono fottuto: ho collezionato 2 forature nel giro di pochi minuti e non ho altri pezzi di ricambio. Oddio la solerte e disponibile guida mi offrirebbe anche una delle sue camere ma io sono troppo orgoglioso per accettare un “pagherò” e, soprattutto, riconoscere che senza l’aiuto esterno non riuscirei a tirarmi fuori dalle pettole; così, alla fine, mi carico la bici sulle spalle e scendo verso valle. Seguito da un nugolo di polvere, ritorno quindi al rifugio, tappa iniziale della lunga calata verso valle, che mi vedrà mangiare la terra di Micol.


Cavallo Goloso


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