PONCIONE DI MANIO' – VAL BEDRETTO
sabato 08 e domenica 09 settembre ‘12
Il corso di autunno dell’AG si apre di fatto con la due giorni alla capanna Piansecco in val Bedretto dopo che, a causa delle previsioni avverse, la prima gita è saltata. Per domenica prevediamo di salire con i Nazgul al Poncione di Maniò, percorso che nessuno di noi ha mai affrontato; di conseguenza, per evitare spiacevoli sorprese, decidiamo che il sottoscritto verifichi la fattibilità del percorso mentre il resto del gruppo salirà tranquillamente al rifugio per poi divertirsi con alcuni giochi di corde.
Per guadagnare quindi tempo prezioso, adotto la modalità skyrunner; la partenza soft per permettere al motore di scaldarsi è così presto sostituita da un ritmo da gara che ben presto mi riempie le gambe di acido lattico, fa pulsare il cuore a mille ma mi permette di sbaragliare i tempi: in meno di mezz’ora raggiungo la capanna e finalmente mi concedo una breve tregua. Quando riparto, il ritmo è decisamente meno indiavolato ma comunque sufficiente a farmi superare con una certa rapidità l’ultimo tratto di sentiero comodo e la ripida ganda prima del Gerenpass. Non ho alcun attrezzo per superare il ghiacciaio ma il costante e assiduo lavoro del sole insieme all’ora tarda mi permettono di superare senza alcuna difficoltà la distesa gelata. La rapida salita deve comunque avermi un po’ annebbiato perchè inizialmente punto alla cima proprio sopra il ghiacciaio per poi accorgermi che la mia meta si trova più a destra, oltre la sella. Poi mi appare Piero Angela mentre in sottofondo suonano le note di Super Quark: due stambecchi mi osservano incuriositi mentre risalgo le gande terminali che mi conducono in vetta. Anzi, no: sono sull’anticima, il Poncione vero e proprio è infatti ancora più a destra. Dopo qualche attimo di indecisione, mi butto sulla cresta che mi deposita finalmente sul punto più alto; il panorama è decisamente mozzafiato con il Finsteraarhorn che domina la scena verso nord. Non ho però molto tempo per godermi lo spettacolo e in quattro e quattr’otto ingurgito qualcosa prima di dare il via ad una sofferente discesa che mi permette di raggiungere il resto del gruppo ancora impegnato con i giochi di corde sulle placche dietro il rifugio.
Consumata la cena a base di minestrone, tonnellate di polenta e spezzatino finalmente andiamo a dormire. O almeno quella è l’intenzione se non fosse che, in previsione di un gelido inverno, partono le segherie. Mi rigiro sul materasso almeno per un’ora durante la quale provo anche a dormire su una panca in corridoio per poi finalmente chiudere gli occhi. Poco prima delle 3 sono ancora sveglio: la segheria è nel pieno dei lavori e io rimango ad ascoltarne i suoni ben oltre le 4 con il risultato che al mattino ho una faccia da pugile.
Poi finalmente, dopo colazione, iniziamo con i Nazgul la nostra salita verso il Poncione superando la ripida ganda che ci deposita ai piedi del ghiacciaio. La nostra tattica prevede che il sottoscritto piazzi una corda fissa sul tratto più ripido del percorso innevato così da evitare, in caso di scivolata, uno spiacevole tuffo nel lago. Con noi abbiamo solo una piccola picozza ma nessun rampone e, con questa attrezzatura, mi fiondo baldanzoso sul ghiacciaio. Ovviamente inizio il mio spettacolo circense: il sole non ha ancora compiuto il suo lavoro e stare in piedi su quel pendio è praticamente impossibile. Sono quindi costretto a risalire a quattro zampe, utilizzando in continuazione la picca finchè la corda finisce mentre il ghiacciaio continua a salire ancora un po’ prima di spianare definitivamente; in quelle condizioni non possiamo certo proseguire e l’unica soluzione è quindi scendere aumentando così ulteriormente il coefficiente dell’esercizio: lentamente inizio così a perdere quota martoriando le nocche della mano destra che tiene la mia unica ancora di salvezza, la picozza. Poi finalmente, con la coda tra le gambe e dopo un’esperienza traumatizzante, raggiungo il resto del gruppo: il Poncione ha alzato un muro insormontabile e ora ci troviamo con un niente di fatto in mano. Eppure la soluzione è lì, davanti ai nostri occhi: il Chuebodenhorn, la vetta dirimpettaia al nostro obiettivo, oltretutto questo è un vero 3 mila! Così stravolgiamo le carte e riprendiamo a salire ancora per gande e sfasciumi. La stanchezza però inizia a farsi sentire e, circa 200 metri sotto la cima, alcuni ragazzi sollevano bandiera bianca. Mi fermo con loro mentre mio papà prosegue con il resto dei Nazgul verso il punto più alto riuscendo a raggiungerlo entro l’ora di pranzo.
Cavallo Goloso
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