MONTE GROSSO – VALLE ELLERO
domenica 16 maggio ’21
Le idee sono chiare come il cielo previsto per il weekend, un po’ perchè il sole ci prende per i fondelli lasciando campo libero ad una mandria impazzita di nubi che scorrazzerà per tutto il nord Italia, un po’ perchè è insito nella nostra natura quello di rispondere alla fondamentale domanda “che si fa domenica?” con uno schietto “boh!”. Così mi preparo a puntare al basso Piemonte: Monferrato (considerando che sono praticamente astemio se dovesse andare buca col tempo non avrei nemmeno la scusa delle cantine) o cuneese quando Jolanda la butta là: “e se andassimo al mare?”. Ok: ricarica il file, riprogramma il bagaglio e sono pronto con maschera e pinne a fare un tuffo nell’acqua salata. Ma, appunto, se c’è una cosa di cui abbiamo certezza questa è l’indecisione. Torno dalla corsetta da recupero post semi reclusione da Covid e lo scenario cambia ancora: niente mare, si va nel cuneese. Mi sembra una decisione frutto della rassegnazione ma, d’altra parte, sento la mancanza di un po’ di montagna e così, senza insistere, ricambio assetto con scarponi rigidi, pantaloni alla zuava, calzettoni di lana e camicia a scacchi. L’aquila freme (oramai le ci vuole poco: ultimamente è diventata come un soprammobile polveroso abbandonato sullo scaffale più alto) e noi finalmente partiamo. Sabato passiamo la notte in una ridente area di sosta per camper a Laurisia, e poi la mattina il tempo è piacevole come il momento in cui si scopre di aver terminato il gelato nel freezer. Ci accoccoliamo nel Caddy e alla fine ci facciamo sbattere fuori per consumare la colazione quando lo squilibrato del paese arriva a farci visita. Prova in tutti i modi a venderci un camper parcheggiato poco lontano ma noi facciamo gli gnorri e alla fine, dopo avermi tagliato fuori dai suoi discorsi e aver preferito gli occhi chiari di Jolanda, il tipo finalmente se ne va. Lo imitiamo all’istante e andiamo a berci il tè da un’altra parte e poi via verso la valle Ellero.
Il cellulare non prende. È muto e sordo come un vecchio campanaro, l’unico segnale di vita è il rassicurante simbolo simile al divieto d’accesso che campeggia in alto sul display. Di solito me ne fregherei (tanto che vuoi che succeda?) ma qui la situazione è diversa: e io come diavolo capisco dove inizia il sentiero? Fortuna vuole che, stranamente, mi sia quasi preparato all’interrogazione a sorpresa e riesca a ricordarmi (fatto ancora più anomalo) dove dovrebbe partire l’escursione così parcheggiamo la macchina e partiamo verso il mare di nuvole. Non tutto il male però vien per nuocere: probabilmente se avessimo visto il pendio, ci saremmo guardati in faccia, saremmo balzati in auto e avremmo cambiato meta. La salita sputa sangue e della morte certa era qualcosa che mi mancava da tempo. Non eccessivamente lunga (per fortuna) ma intensa con Jolanda che rischia di vomitare il muscolo cardiaco e il sottoscritto che lo manda giù ad ogni pausa. Intanto la nuvolaglia va e viene come i treni del metrò, un quartetto di baldanzosi ragazzi ci passa sopra come l’espresso per Zurigo ma alla fine raggiungiamo il primo semi pianoro. In giro non c’è anima viva eccezion fatta per un’insolita colonia di narcisi gialli (di cui azzecco il nome solo con l’aiuto dell’iniziale) e, più avanti, quella che molto probabilmente dev’essere una vecchia cacca di lupo. Forse che il pazzo che ci aveva messo in guardia sulla presenza del predatore avesse qualche rotella a posto? Intanto annoio un po’ Jolanda con “l’osservazione dei litotipi costituenti il substrato vallivo con un’interessante ed evidente variazione litologica per il passaggio dall’ambiente cristallino a quello sedimentario, chiaramente deducibile anche solo dalle forme delle strutture che abbracciano l’osservatore”. Lei mi guarda inarcando la sopracciglia e domandandosi se la quota stia iniziando a dare i suoi effetti e poi si rimette alla ricerca del lupo. Abbandono i panni dell’erudito e noioso accademico (anche perchè oltre non saprei dove andare a parare) e mi limito a consultare la carta e capire dove passi il sentiero fino a raggiungere il Colla Rossa proprio quando un soddisfatto Dante avrebbe cantato vittoria col suo “lasciate ogni speranza o voi che entrate”. A quel punto ce l’ho lì davanti agli occhi, ci penso un po’ ma poi l’aquila mi spinge e io non ce la faccio: chiedo a Jolanda il permesso e poi mi involo verso la vetta. “Vado su di corsa! Mi ci vorrà un attimo”, infatti dopo una manciata di minuti mi fermo a raccattare il polmone sinistro che ha iniziato a rotolare lungo il prato. Poi arriva la vetta e io posso ammirare il mare di nuvole che si estende verso nord nascondendo la pianura e l’arco alpino. Tutto ora sembra semplice: dovremo solo fare come i sassi e cadere verso valle senza alcuno sforzo ma a metà discesa appare la triade, un nuovo volano per le gambe stanche. I tre se ne stanno sul prato ad osservarci mentre fingiamo di non averli visti. Ci avviciniamo con cautela finchè, riparati da una specie di avvallamento, riduciamo vistosamente la distanza per poi scoprire che questi si sono volatilizzati come la navicella degli UFO. Ci guardiamo intorno e alla fine, sempre ad una distanza semi-siderale, scorgiamo i camosci burlarsi di noi su per il pendio. Alla fine della giornata dovremo accontentarci di questo incontro oltre a quello con una marmotta accecata che si infila nella tana solo quando ci siamo oramai invitati a prendere il tè nel suo salotto ma del lupo nessuna ulteriore traccia.
Cavallo Goloso
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