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FUNGHI DI REZZAGO – TRIANGOLO LARIANO

domenica 01 novembre ‘20


Siamo in ritardo, ovviamente: oramai è cronico. Sara e Matte certamente l’avranno messo in conto!Questa volta però in nostro aiuto arriva la strettoia. È una di quelle stradine che partono già piccole ma, mano a mano che si procede, si fanno sempre meno larghe. La macchina però no: quella resta sempre delle stesse dimensioni nonostante istintivamente si stringano le spalle. Poi arriva la mezza curva e si finisce per fare il turacciolo nel collo di bottiglia. Il telefono squilla e la Sara ci avvisa che per poco non han dovuto chiamare il cavatappi è così, magicamente, il nostro ritardo diventa quasi in orario. Noi comunque facciamo finta di niente secondo il principio per cui Sara e Matte sanno già tutto e con un laconico “ah-ah” gli informiamo che ci mancano 4 o 5 chilometri. Evitiamo quindi di specificare che, non si sa bene per quale ragione, stavo per finire a Lecco quando improvvisamente, superata Erba, mi sono svegliato dalla catalessi domandando alla Jo dove diavolo stessi guidando e ricevendo in risposta un candido e sincero “boh!”.

Evitata quindi la mummificazione dei due amici, sbarchiamo finalmente dal Caddy mentre chiedo alla Jo se debba prendere anche il cestino per i funghi. Lei ci pensa un po’ su e poi mi fa ridacchiando: “beh, per quei “funghi” servirebbe ben altro!”. Mi sono sempre piaciuti i funghi però già nel risotto o con lo spezzatino e la polenta. Cercarli non è mai stata una mia passione, trovarli invece sì ma pare che le due cose abbiano un certo nesso e così non ho mai dedicato tempo alla mia carriera da fungiatt. Così per oggi mi è balzata quest’idea di sicuro successo: fare un giretto per vedere un altro tipo di fungo, qualcosa fatto di sassi e terra con una bella cappella granitica.

Tanto per iniziare ci vuole la stradina asfaltata antesignana del vicino muro di Sormano: ideale per vedere il muscolo cardiaco ruzzolare giù per la discesa e andare ad imboscarsi tra i rovi. Poi passiamo al castagneto: un’ampia distesa di alberi ordinati come un bosco svizzero. Non so perchè la Jo non inizi a raccattare un frutto qua e là: sarà forse perchè siamo in sindrome da fungiatt? In ogni caso non intendo risvegliare il suo istinto e quindi non mi curo di loro, guardo e passo. Continuiamo così nel nostro apparente giro senza senso facendo un po’ di su e giù nel bosco finchè alla fine crolliamo: prendiamo la bacchetta del rabdomante e ci mettiamo a guardare sotto gli alberi. Ma è evidente che abbiamo obiettivi diversi: loro hanno il piglio scientifico “questo dovrebbe essere un fungus funghignus” sentenzia qualcuno; l’altro si china, solleva la cappella quel tanto che basta per osservare le lamelle e poi “esimio, non vorrei correggerla ma, a parer mio, siamo di fronte ad un esemplare di fungus fungus cappellus: non vede il colore brunastro tendente al violaceo?”. Il terzo ci pensa su un po’, guarda qualcosa sul cellulare ma poi aspetta che gli altri termino la disputa scientifica. Io me ne resto in un cantuccio ad osservare l’oggetto di tante attenzioni mentre amleticamente mi domando: “risotto o non risotto? Questo è il problema!”.

Vaghiamo ancora un po’ di qua e un po’ di là finchè lo stomaco inizia a brontolare e le gambe a sollevare qualche questione sul fatto che siamo in giro già da un po’ di tempo. Così inizia la ricerca del posto dove mangiare: oggi abbiamo la vena scientifica, l’ho detto. “Forse più avanti il bosco si apre un po’...” e così finisce che proseguiamo inutilmente verso l’infinito e oltre. “Potremmo anche fermarci qui” ma il sentiero è stretto e non c’è posto dove io possa appoggiare il mio bel deretano. “Quella casetta che abbiamo superato poco fa?” e così si torna indietro... “Raga, forse ancora più in basso è meglio: si intravede qualcosa laggiù tra gli alberi” e quindi, proprio mentre stavamo per calare la coperta del pic nic e l’orso Yoghi stava per far capolino a rubarci il panino, siamo di nuovo in viaggio. “Scusa... ma qui siamo a casa del signore...” in effetti... “magari ci scappa la polenta con Bambi (la Sara incenerisce il Matte con lo sguardo) e funghi” (mi è rimasta la voglia): il risultato è che ci accampiamo in uno spiazzetto al limitare della proprietà. In realtà è un posto che, scientificamente parlando, potremmo definirlo “penis” o, volgarmente, “del cazzo” ma lo stomaco sta iniziando ad urlare e quindi ce lo facciamo andare bene. Poi torniamo al castagneto ma la Jo ancora non si china a cogliere nulla e a quel punto mi ricordo quale fosse la proposta iniziale: “andiamo ai funghi di Rezzago?”. Così caliamo verso le strutture ad ombrello cinese (nel senso che pare stiano su per miracolo), scattiamo qualche foto e poi trovo il modo di scalicchiare. Non sui funghi, sia chiaro (anche se una mezza idea ce l’avrei anche avuta) ma su alcuni massi erratici che troviamo poco prima di chiudere il nostro anello e tornare al cestino dei funghi che rimane inesorabilmente vuoto.


Cavallo Goloso


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