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VALLE BLANCHE – MONTE BIANCO

sabato 25 febbraio ‘12


“Operazione curriculum” gongolava pomposamente la mail settimanale trasudando smania di caianesimo da ogni bit. Il risultato? Sarebbero dovuti piovere bollini a raffica, siamo rimasti a bocca asciutta e, anzi, col forte rischio di perdere parte di quelli già in possesso. Avremmo dovuto cavalcare l’onda della gloria, ma a mala pena ci teniamo a galla nel mare della norma. Saremmo dovuti tornare poveri nel portafoglio ma ricchi nell’animo, rientriamo invece con un buco nero nel conto in banca, un vuoto assoluto di sensazioni e alcune coste lussate.

La Punto corre veloce sull’A4 mentre Colo e Fabio integrano la catasta di legna per l’inverno; mi sembra di essere con Micol, solo che lei si sveglia al primo velato cambiamento di un parametro di viaggio (velocità o volume della radio), i due compari invece si inabissano sempre più nel mondo dei sogni e li sveglio solo quando è il momento di donare un rene alla società che gestisce le autostrade.

Colo è riuscito a recuperare la guida del Bianco da Cece e, ovviamente, puntualizziamo il nostro obiettivo poco prima di entrare nel tunnel e poco prima di privarci di un altro organo. Ma, illusi, un rene solo non è sufficiente, ci tocca aggiungere anche un po’ di midollo e siamo a Chamonix. Il panorama è una delusione: il Bianco è nascosto dentro una coltre grigia e rispetto le maestose pareti e i picchi del versante italiano, la vista è come ovattata. Qui girano solo portafogli con gambe e braccia e 3 spiantati alla ricerca della funivia per l’Aiguille du Midi. Consolo la mia piccola auto proletaria circondata da giganteschi bisonti a quattro ruote e partiamo; abbiamo valutato e deciso di rientrare in paese per sera: le difficoltà della salita ci danno buone garanzie di poter superare la Valle Blanche entro un orario decente e poi, alla peggio, dormiremo in terra francese e domenica rientreremo in Italia.

L’uscita dalla funivia non ci apre il cuore: il Tacul è parzialmente coperto così come il Bianco, le Grandes Jorasses e la zona del Dru; le nuvole si divertono a nasconderci la Tour Ronde mentre il Gran Capucin ci guarda come un grosso siluro pronto a spiccare il volo.

Un’interminabile fila si snoda lungo la traccia che conduce al ghiacciaio: la ressa è nauseante e totalmente in contrasto con la solitudine che si respira salendo al Torino. Inforchiamo gli sci e partiamo. O meglio: io e Colo iniziamo la discesa mentre Fabio ha già il posteriore per terra mentre scopre che gli scarponi d’alpinismo non sono l’ideale per la tavola, soprattutto se si è a mala pena in grado di scendere. Morale: per coprire poche centinaia di metri ci impieghiamo una mezza eternità. Io e Colo ci guardiamo sconsolati mentre vediamo i nostri sudati risparmi venire fagocitati dalla macchina del consumismo e l’obiettivo tanto agognato volatilizzarsi insieme alle ore di luce. Se non vogliamo bivaccare a 3000 metri senza sacco a pelo né tenda rimasti nel baule della macchina, dovremo scendere immediatamente verso valle e sperare che Fabio impari nel frattempo a snowbordare altrimenti rischierà di fare la fine di un novello Otzi!

Lo zaino è un macigno, la discesa praticamente una pista per condizioni e affollamento; insomma, non posso certo dire di divertirmi anche se nella parte alta lo spettacolo concessoci è da mozzare il fiato. Così passano i fantastici 4 mila, un seracco che rotola verso valle per il gran caldo (per poco non colpisce uno sciatore), alcune modeste slavine che non interessano il percorso di discesa e tutto sembra quindi protendersi verso la conclusione quando l’imprevisto gioca la sua ultima carta. Con una rapida zampata, il felino Fabio stende Colo che dolorante riesce comunque ad alzarsi e tornare alla macchina (dove riprenderà a fare il ghiro in compagnia del nostro Fabio). Il verdetto dell’ospedale parlerà poi di alcune coste lussate. Fabio ha firmato la sua condanna: finchè la Fisarmonica non è terminata, è precettato ma, soprattutto, dovremo sfruttare la sua casa comasca per qualche altra sana mangiata!


Cavallo Goloso


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