racconto del san matteo, val furva (sondrio)


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SAN MATTEO – VAL FURVA

domenica 21 aprile ‘19


Sono circa le 6 meno un quarto, i fari dell’auto fendono la notte mentre dagli altoparlanti esce la voce stridula di Brian Johnson; il Gughi è di compagnia come un oratore muto al convegno dei sordi e io fremo all’idea che tra qualche ora inizierò a scendere dal san Matteo finchè a fremere non è qualcos’altro. La vista dei due baffi bianchi sulla BMW che mi segue mi raggela il sangue nelle vene: non c’è bisogno di guardare il tachimetro per avere solo la prova dell’evidenza che sono abbondantemente sopra i limiti. Alzo il piede dall’acceleratore ma dopo una manciata di secondi il lampeggiante blu inizia a colorare l’oscurità. Alla fine me la cavo con un’ottantina di euro e 5 punti in meno sulla patente ma almeno la giornata non è andata completamente a farsi fottere. Ora dovrò sfogare la mia voglia di velocità sugli sci!

Alle 7:30 sbarchiamo dall’auto mentre il posteggio pullula già di scialpinisti con tanto di corde, picche e imbrachi che fanno la loro bella mostra sugli zaini caiani. Nei nostri invece trovano posto solo un paio di ramponi e la pala mentre la cartina se ne sta beatamente sul tavolo in casa del Gughi: effettivamente gli avevo solo domandato se avesse una mappa della zona senza poi aggiungere che, in caso affermativo, sarebbe stato utile se l’avesse portata. Così tutte le nostre speranze di raggiungere la vetta risiedono nella tenuta della batteria del cellulare con la relazione, sulla mia vaga memoria su dove dovrebbe essere il san Matteo e sul non farci fuorviare da qualche treno di sciatori diretto chissà dove. Quando poi all’unico bivio dove potremmo avere qualche dubbio il gruppetto che ci precede se ne va a destra, il nostro senso dell’orientamento inizia a fare come l’ago della bussola torturato dalla calamita. Guardo la relazione e poi cerco di convincere il Gughi che noi dovremo salire a sinistra. La mia arte dialettica non è però quella di Cicerone e così non mi resta che usare la carta della “democrazia”: siccome sono in testa, decido di seguire il mio istinto e, per una qualche strana combinazione astrale, mi riesce pure di azzeccare la linea corretta. Il resto del tragitto corre senza ulteriori intoppi inizialmente col sottoscritto che è preso dalla solita scimmia del centometrista per poi dover gestire l’imminente crisi sugli ultimi metri prima della vetta. Qui c’è l’assembramento dell’Oktoberfest: una masnada di teutonici che si accalca intorno alla croce manco fosse uno sciame di api intorno ad un favo di miele. Confido nel fatto che questi prima o poi leveranno le tende lasciandoci così modo di scattare qualche foto senza l’assembramento da inizio saldi e così alla fine è. Poi anche per noi arriva il momento dell’ubriacatura da discesa col sottoscritto che fatica a fare il sacrilego fermando la sequenza di curve cosicché, al termine della lunga corsa, guadagnato un discreto vantaggio sul Gughi, riusciamo pure a non ritrovarci col sottoscritto che gira verso sinistra e il ragazzo che invece prende la direzione opposta.

Poi al parcheggio c’è il trio degli avventori al Gran Zebrù: uno scialpinista che mi ricorda il sottoscritto, un pesce fuori dall’acqua senza la minima idea di dove si trovi eccetto (forse) per il suo obiettivo e due ciaspolisti masochisti che, usando gli attrezzi del demonio, intendono raggiungere la cima della montagna; sarebbe il perfetto gruppo Fraclimb se non fosse per la gnocca aggregata agli altri due che armeggia con lo zaino cercando di scampare al mio sguardo magnetico da german-lover!


Cavallo Goloso


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