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RITZBERG – VALLE MAGGIA

mercoledì 07 dicembre ’22


Sto invecchiando, mi sembra evidente: scendo dalla macchina e il signor inverno mi tira quattro manrovesci che per poco non mi stendono. Eppure il termometro dell’auto non era così pessimista, con l’asticella non molto lontana dal livello zero il cui raggiungimento ora mi sembra complicato come sognare la sufficienza in una versione di greco. Non mi resta che anticipare il Carnevale, coprirmi come una versione dimagrita dell’omino Michelin e sperare che appena gli sci cominceranno a scivolare la fornace interna inizi a elargire i suoi frutti. E invece nulla: finchè restiamo nella conca ombrosa di Mordor-Bosco Gurin, dove il sole batte come la gran cassa in un concerto di fiati, non mi viene proprio la minima idea di svestire il mio costume da venditore di pneumatici. Non che le cose cambino molto quando il sole finalmente illumina il pendio ammantato di polvere bianca ma, almeno, ci lasciamo alle spalle quell’ambiente che, solo a guardarlo, ricorda un po’ una cella frigorifera. In giro non c’è anima viva ma, del resto, questa è la giornata di festa del milanese, unico momento in cui mi si invidia il mio stato di pendolare cronico; siamo solo noi: io, Tommy e il Gabri a sfidare la traccia su cui sembra già passato un esercito. La meta è la montagna dei cracker causa, ere geologiche fa, di furibonde lotte con mio fratello al rientro dalle sciate ma, al momento della proposta del Tommy, la cosa non mi passa nemmeno per l’anticamera del cervello: probabilmente le sinapsi erano già congelate in previsione dell’incontro di box del mattino. La traccia ci saluta proseguendo verso destra mentre noi dobbiamo inoltrarci nella conca sulla polvere intonsa e così metto i panni di Picasso e inizio a disegnare la mia linea. Il Ritzberg mi pare come l’oasi nel deserto: un miraggio inavvicinabile eppure, mentre il tempo scorre, mi ritrovo prima di quanto avessi creduto sotto i pendii finali. Guadagniamo rapidamente quota fino al crinale dove l’altro elemento immancabile della stagione fredda fa la sua comparsa in scena. Ne avrei fatto volentieri a meno ma, tutto sommato, la sua presenza, sebbene fastidiosa, resta discreta: il volto si intorpidisce sotto l’effetto di una brezza pungente ma più che sopportabile e lontana cugina del vento che ha trasformato la neve di questo versante in una rappresentazione in gesso di un mare in tempesta. Cavalco le onde sperando siano magnanime durante la discesa e, finalmente, arrivo sul colmo della scatola di cracker.

La discesa all’inizio richiede sempre un po’ di rodaggio soprattutto se sembra di fare motocross sul cartonato ma appena torniamo sul nostro versante la musica cambia con la neve che, almeno nella parte alta, ricorda lo zucchero a velo. Poi arrivano le piste e il tratto in falso piano dove qualcosa inizia ad ancorarmi al suolo. Fatico di più ad andare a favore di gravità che non poche ore prima nel senso opposto: sollevo lo sci e sotto ci trovo attaccato uno zoccolo clandestino degno di una zeppa da trampoliere. E intanto ci avviciniamo sempre più alla conca oscura, là dove il sole resta un ricordo per un tempo indefinito e dove la macchina ci aspetta accogliente come un frigorifero.


Cavallo Goloso


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