racconto della quota 2880, val d'avers (grigioni)


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QUOTA 2880 – VAL D'AVERS

domenica 09 marzo ’14


Altissimo rischio di farmi scivolare sotto i piedi una domenica da paura: l’idea era quella di andare a fare un super giro ma, come oramai dovrei ben sapere, ogni programma ha un’elevatissima probabilità di saltare e così è anche per questo. Sabato sera mi trovo quindi con il fiato sospeso fino all’ultimo e, quando sono oramai convinto di passare la domenica in solitaria, il Toni mi porge l’ancora di salvezza: giornata con The Machine e il Lele, immagino già la super caianata o il super powder!

Non mi sento in palla, ho una sensazione strana: le gambe sembrano girare a fatica ma, per fortuna, il treno sferraglia con insolita calma sotto un sole che picchia duro e così mi accodo dietro l’ultimo vagone salendo senza troppi problemi. Poi la schiena di mulo inizia ad impennarsi e così anche le mie condizioni: insieme al Lele mi stacco dagli altri e quindi ci buttiamo all’assalto del tratto finale. Come rulli compressori, raggiungiamo il deposito degli sci e poi, in solitaria, continuo a salire senza lontanamente pensare ad abbandonare i legni. La neve però diventa dura, ripida e difficilmente sciabile mentre inizio a temere che le lamine possano non riuscire a mordere il manto: proseguo quindi con brevi conversioni fino ad arrivare sotto alcune roccette e confidando che, più in alto, il pendio spiani. Di contro, le condizioni non sembrano migliorare e così, alla fine, mi carico anch’io gli sci in spalla e mi infilo sulla pedonata convinto poi di tentare la discesa extreme!

Raggiungere la vetta é una sensazione d’apertura spaziale: le montagne si distendono in lungo e in largo da ogni parte mentre, in lontananza, la nord est del Badile é così carica da sembrare una pista da sci! Dall’alto osserviamo il nostro scivolo di discesa, un manto completamente intonso e vergine: conveniamo che la linea migliore sia tra le rocce e la pedonata, dove il pendio risulta meno ripido e la neve non ancora trasformata. Lasciamo quindi scendere gli altri scialpinisti appiedati e poi iniziamo lo show: di fronte alle punte dei miei sci si stende un manto regolare che digrada verso valle; una, due, tre curve: gli sci corrono ad una velocità impressionante, le gambe stantuffano a ripetizione mentre i muscoli si infiammano nel disperato tentativo di controllare i legni che si impennano come impazziti. Una pausa: guardo la creatura dietro di me e poi sposto lo sguardo dalla scia alla cima. Toni mi fa segno di proseguire: ancora qualche curva, le gambe sempre più ghisate e la goduria sparata all’infinito. La neve è un manto perfetto, polveroso, solo leggermente trasformato e appoggiato su uno strato più consistente. Gli sci volano a velocità inaudita come fossero schegge impazzite: in pista sarebbe da pazzi scendere con un tale ritmo! Altra pausa e il Toni mi supera: surfa a velocità siderali con larghe curve sollevando miliardi di cristalli e disegnando con la tavola una linea continua e perfetta. Ricomincio il mio spettacolo: ho il cuore in gola, le gambe pulsanti e il fiatone ma la discesa è incredibilmente strabiliante e, il bello, è che ci attendono ancora curve e polvere prima di raggiungere l’auto!

Ricompattiamo i ranghi e riprendiamo quindi a sciare lungo un pendio più coricato e ampio dove però comincio a fare i numeri: gli sci sembrano impazziti e, più di una volta, mi ritrovo in testa coda e con la faccia dentro la neve. Alla fine riesco comunque a portare la pellaccia (oltre ad un costume da pupazzo di neve) a destinazione avendo alle spalle quella che probabilmente è la migliore sciata della stagione. In macchina quasi crollo per la stanchezza ma poi, arrivato a casa nel primo pomeriggio, mi viene male a restare tappato al chiuso con una giornata quasi primaverile, così prendo la macchina e, idea malsana, vado a Carate a fare due tiri! Mentre la falesia si sta svuotando, il sottoscritto prepara scarpe e corda e inizia a salire qualche tiro perchè, dopo la sciata, ci vuolo un po’ di scalata!


Cavallo Goloso


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