racconto del pizzo molare, val leventina (ticino)


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PIZZO MOLARE – VAL LEVENTINA

sabato 28 dicembre ‘13


Continua a piovere, più che Natale sembra di essere ai morti. Tra l’altro, ieri ho temuto di diventare tra i festeggiati del prossimo novembre: dopo una svogliata giornata al Sasso Giallo, sono infatti andato a fare un giretto verso il Buco del Piombo e chi incontro? Un bel cinghialone con un seguito di 3 cuccioli! Ci osserviamo immobili e poi la famigliola decide di prendere il largo avendomi evidentemente trovato poco interessante. Ho ancora il cuore in gola quando spuntano altri 3 bei porcelloni selvatici: raccolgo il muscolo cardiaco da terra ma anche questi se la filano forse più spaventati del sottoscritto!

Così, visto che le forti emozioni non sono sufficienti, oggi mi avvio solo soletto verso il pizzo Molare; danno pericolo 14 ma, d’altra parte, se così non fosse, dove sarebbe l’adrenalina? Siccome però è il caso di prenderla a piccole dosi, questa volta ho pianificato una gita con partenza nel bosco e poi, per la parte alta (se mai ci sarà) si vedrà. Per il resto, la programmazione fa acqua da tutte le parti: decido di salire da Tengia per circa 1500m di salita ma, ovviamente, la sveglia suona tutt’altro che all’alba, così mi trovo a partire già con il fastidioso ticchettio dell’orologio. Il tempo poi sembra un quadro in bianco e nero ma, per lo meno, non piove né nevica. Parcheggio l’auto dopo essermi in parte liberato a suon di palate la piazzola e poi prendo l’evidente traccia che si infila nel bosco. Tutto fila rapidamente liscio fino alle baite di Aldescio dove letteralmente mi areno nella neve fresca: sembro quasi una balena spiaggiata! L’immensa coltre si mostra completamente intonsa costringendomi quindi ad una faticosa tracciatura: gli sci spariscono sotto mezzo metro di polvere mentre avanzo con bradipesca rapidità. Ma l’esplorazione ha vita breve: ad un accenno di curva, lo sci viene fagocitato dalla massa inconsistente facendomi incagliare tra gli abeti. Arrivo perfino ad estrarre la pala e, per la seconda volta, inizio a scavare; ma quel gesto, che aveva dato il via alla gita, ne decreta anche la fine: sprofondando fino alla cintola, riesco a liberare il legno ma la pelle ha deciso di prendere il largo staccandosi dalla sede! A quel punto l’odissea ha raggiunto e superato il limite: blocco gli attacchi e mi preparo a scendere. Ma evidentemente non ho mai sciato nella vera neve fresca: gli sci non partono e, anche dopo una vigorosa racchettata, rallentano immediatamente per poi arenarsi. In tale divertente situazione, riesco comunque a superare Aldescio e ad infilarmi nel bosco. A quel punto, il buon senso avrebbe suggerito a chiunque di seguire la traccia di salita ma ovviamente, pur avendo visto che il bosco sembra poco sciabile, mi infilo giù per il pendio trovando, tra l’altro, neve piuttosto crostosa. La discesa ha però vita breve facendomi rapidamente scontrare con un intrico d’abeti quasi invalicabile; come fossi in un percorso di guerra, passo sotto i rami degli alberi cercando di unire le zone dove trapela più luce fino a ritrovare la traccia di salita. A quel punto, dovrei quindi potermi ritenere salvo e invece no: abbandono subito il sentiero prendendo un bel pendio che scende verso valle credendo, ingenuamente, di incrociare più in basso la traccia battuta. Quella invece continua a spostarsi verso sinistra lasciandomi così fregato; solo a quel punto, quel poco di sanità rimasta ha la meglio sull’istinto e così, caricati gli sci in spalla, riguadagno il sentiero per poi rientrare alla macchina con un pugno di mosche in mano.


Cavallo Goloso


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