racconto del piz scopì, rheinwald (grigioni)


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PIZ SCOPÌ – RHEINWALD

sabato 13 aprile ‘19


Non so per quale motivo ma mi sono fissato col san Matteo; forse sarà che è un po’ che non rendo omaggio all’aquila e partire ben prima dell’alba, attraversare la Valtellina, raggiungere la cima, tornare indietro per poi l’indomani andare in falesia ad Albenga mi pare un’ottima idea per sperare nel perdono dei padri fondatori. Invece il Walter se ne viene fuori che il Tommy ha proposto qualcosa nell’alto Ticino, che saremmo in tanti e che quindi potrebbe essere più interessante della nostra coppietta gay: lì faremmo infatti l’orgia gay. Ci penso su e alla fine la val Furva fa la fine della vulva, i padri del caianesimo restano a guardare e io do l’unica condizione che almeno non sia una cima che abbia già salito: non vorrei mai saltasse fuori l’ennesimo Poncione di Vallepiana! Invece le nostre attenzioni si rivolgono al piz Scopì che però, dopo rapida ricerca sulla ragnatela della rete, scopro mio malgrado non sfiorare nemmeno i 1300 metri di dislivello. Ovvio che il mio animo si incendia come un ‘48 ma alle mie rimostranze viene gentilmente fatto notare di non fare il nerd; incasso, accetto l’appunto e sottolineo solamente che faccio solo Fraclimb e che, alla peggio, si può sempre ripellare!

Alla partenza non c’è il semi nulla cosmico del Sissone ma piuttosto un gruppetto di teutonici e un trio di ticinesi. Partiamo per ultimi perchè ovviamente c’è sempre qualcosa da sistemare anche se poi non è mai chiaro cosa sia e subito scatta la competizione. O meglio: si avvia la modalità Fraclimb. Risultato? Pompo fin dall’inizio tagliando con le lamine il pendio pressato mentre in molti calzano i rampanti e, dopo pochi metri e aver pettinato le orecchie a tutti quelli che mi precedono, mi ritrovo solitario a ficcare in gola il muscolo cardiaco che prova a saltare fuori come la faccia ridente dal pacco regalo del clown. Poi viene fuori l’altra costante di quando vado in gruppo, cioè non avere la minima idea di quale e dove sia la meta: inizio quindi a guardarmi intorno cercando tra le punte che mi sovrastano quale sia quella più alta. Ovviamente il risultato è un totale flop perchè alla domanda, Tommy il capogita indica il cucuzzolo su cui arriva la funivia militare. Mi sembra di essere nella vecchia scenetta di Aldo, Giovanni e Giacomo quando i primi scalano la parete con le tipiche prese a forma di zoccolo di gnu e costola di moffetta (o qualcosa del genere) mentre il terzo arriva in cima per il comodo sentiero. Siccome però sono Fraclimb, non avrei mai accettato di spendere i soldi per un passaggio del mezzo meccanico e quindi resto solo un po’ deluso che lassù ci sia un simile accrocco tecnologico. La salita poi prosegue come un elastico: il sottoscritto in modalità iperattiva e evidentemente sotto l’effetto di qualche droga che segue la linea di massima pendenza finchè qualcuno tra pelli e torace non inizia a mettersi di traverso, il quartetto di amici che risale regolare e, in mezzo, il trio ticinese che mi diverto a raggiungere, superare e poi aspettare. Dei teutonici invece nessuna notizia: forse lo strappo iniziale su neve quasi marmorea li ha rispediti giù verso il lago. La cima è una sorgente di inquinamento elettromagnetico che manco in una centrale elettrica: il radar militare pare la giostra del calcio-in-culo che ruota senza tregua mentre una scatola del mistero pare gracchiare qualcosa: spero solo che le forze elvetiche non mi spediscano un confettino regalo per aver calcato la cima dello Scopì! Nessun Tomahawk però solca l’aria e noi allora ci tuffiamo lungo il canale: la neve è in condizioni praticamente perfette, una soffice e sottile granita sopra uno strato portante che poi, più in basso, prende il totale sopravvento. Surfo lasciando correre i legni tanto che, se qualcosa dovesse andare storto, prenderei la strada dello Shuttle ma, evidentemente, non ho ancora smaltito la dose di LSD! Poi, lungo un canalino la gravità me la fa pagare: uno sci si impenna, l’altro lo segue e quindi entrambi si sganciano e io inizio a ruzzolare verso valle. Mi fermo poco sotto e, quando riprendo a sciare, ho la cara e vecchia agilità di un tronco di legno solo che, a questo punto, mancano poche curve prima dell’auto e della chiusura del cerchio.


Cavallo Goloso


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