racconto del giro tete de valpelline, valpelline (aosta)


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GIRO TETE DE VALPELLINE – VALPELLINE

mercoledì 24, giovedì 25, venerdì 26 aprile ‘13


Quando un paio di mesi fa è arrivata la mail, non ci ho badato più di tanto, mi sono iscritto punto e basta. Chi se ne frega del percorso, chissà quali saranno i dislivelli o i rifugi dove pernotteremo, mi basta sapere che, dopo l’ormai lontana Dufour, riuscirò a fare un’altro ski tour con l’agenzia Lele-Sandro. E questo mi sembra più che sufficiente per andare alla ceca verso questa nuova avventura.

Il giorno della partenza si avvicina e con esso la certezza che avremo tempo buono solo per tre giorni, poi la tregua concessa da questo meteo inclemente chiuderà i battenti per tornare a piovere; non sia mai che inizi la siccità!

Così finalmente scopro che non si va in Francia come i nomi dal gusto parigino mi avevano lasciato intendere, bensì puntiamo a una zona tra la val d’Aosta e il Vallese; e solo quando il gruppo è formato, scopro che pernotteremo prima in Valpelline per poi passare in terra Svizzera. Ma le sorprese non finiscono qui: per il primo giorno è previsto un dislivello di soli 800 metri, insomma una passeggiata! Così quando Lele ci informa che il rifugista gli ha pronosticato 4 ore di scammellata resto esterrefatto per poi lasciarmi completamente spiazzare dalla prospettiva di un’oraccia di marcia con gli sci in spalla a costeggiare un lago artificiale; perchè, se in verticale saranno solo poche centinaia di metri, lo stesso non si può dire per lo sviluppo orizzontale. Così, carico il pesante fardello assalito dai dubbi e mi accodo al sestetto di amici: i loro zaini sembrano infatti montagne se confrontati al mio da escursionista della domenica che oltretutto dovrebbe contenere, oltre alla normale dotazione, l’occorrente per due cene e altrettante colazioni! Quindì, sicuro di aver dimenticato qualcosa che poi si rivelerà indispensabile, inizio la circumnavigazione del lago. Stanchi e sfaldi residui nevosi si alternano a lunghi tratti di terra e fanghiglia e solo quando lo specchio gelato termina contro alcune baite possiamo finalmente calzare gli sci. La valle laterale si addentra sempre più nel cuore della catena lasciandoci almeno guadagnare un po’ di quota, finchè finalmente arriviamo in vista dell’agognato rifugio. Ma proprio quando sembra essere tutto ormai terminato, iniziano a farsi vivi i primi segni di cedimento: proprio sotto la verticale dell’edificio che ci ospiterà per la notte, arranco tra sfasciumi e rocce ignorando la comoda traccia che evita il tratto impegnativo salendo dolcemente alla meta. Così, pescando non so da dove le ultime energie disponibili e in preda ai dubbi per l’indomani quando il percorso sarà decisamente più esigente, raggiungo finalmente l’agognato rifugio sfuggendo così dall’inferno di giornata.

La mattina ci accoglie con i classici rumori del rifugio, di alpinisti pronti all’azione e a buttarsi nel vivo dell’avventura. Mi concedo l’acquisto di un té caldo in cui intingo i biscotti che ieri hanno danzato sulle mie spalle e poi partiamo con un’insolita discesa che ci porta alla base di un tratto piuttosto ripido e ancora gelato. Una miriade di scialpinisti arranca sulla neve dura mentre ho il mio bel da fare a lasciare mordere le lamine sul pendio ghiacciato: una scivolata avrebbe l’effetto di un domino con relativo strike! Ma alla fine, sano e salvo, raggiungo il Col Collon dove inizia la prima levata di pelli della giornata: la discesa lungo il versante svizzero è un rapido divertimento su neve quasi perfetta che precede una lunga risalita al colle successivo; alla fine della giornata, togliere e rimettere le pelli diventerà una monotona routine che ci porterà prima alla Tete de Valpelline e poi, finalmente, all’abbarbicata Caban du Bertol mentre gli affilati canini del Cervino e della Dent d’Herens ci osservano arrancare su questi plateau ghiacciati. Insomma una piacevole passeggiata che supera infiniti valloni lungo i quali pena un’interminabile fila di scialpinisti sotto un sole che finalmente sembra essersi deciso a compiere il proprio dovere. Così i ripidi pioli che portano al rifugio issato sopra il picco roccioso a sbalzo sul ghiaccio sembrano le scale del paradiso alla termine del nostro vagare in purgatorio.

Alla mattina dell’ultimo giorno della triade, il cielo si presenta triste e livido: il velo azzurro del giorno precedente giace abbandonato chissà dove e ora non ci rimane che affrettare il passo per rientrare alla macchina cercando di evitare la pioggia imminente. Scendiamo quindi verso valle per poi risalire nuovamente al Col Collon chiudendo così l’anello per poi ripassare sotto il rifugio Nacamuli mentre le nuvole si serrano intorno a noi lasciando precipitare alcuni fiocchi isolati. L’interminabile valle che precede l’infinito lago artificiale ha come un sussulto dopo il nostro rapido passaggio sugli sci: come scossa e volendoci forse regalare un saluto adrenalinico, si scarica liberando un imponente ammasso di roccia e ghiaccio fortunatamente ben distante dal punto in cui ci troviamo. Ma l’avventura non finisce qui: dopo averci abbondantemente minacciato, le nuvole aprono i rubinetti lasciando cadere un’insistente e noiosa pioggia che ci accompagna lungo tutta la mulattiera al cui termine miriamo già alla prossima vetta da scalare: un bel piatto di pasta fumante!


Cavallo Goloso


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