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PIZ CRISTALLINA – VAL BEDRETTO

sabato 17 dicembre ‘22


Il motore è caldo e rodato e la fame si fa sentire sempre più feroce; è come un mulinello che vorticosamente si trasforma in uragano: da qualche parte bisogna farlo pur sfogare. Così riprovo a convincere il Walter ad andare al Cristallina dopo l’esperienza del Gradinagia e alla fine lui cede (prima o poi riuscirò a convincerlo anche a provare una certa via in Medale ma questa, forse, sarà un’altra storia) mettendo però i puntini sulle “i”: “vengo ma si sale con calma!” Non capisco a cosa l’ammonimento si possa riferire soprattutto visto che in altre occasioni ho dovuto sputare sangue dietro le sue chiappe però, giuro giuretto, terrò a freno l’istinto. La traccia nel bosco mi sembra eccessivamente dispersiva: gira in tondo senza arrivare al punto un po’ come quando si annaspa alla ricerca di una risposta che non si conosce. Poi il bosco finisce e noi ci addentriamo nella valle, una fenditura che si insinua tra le cime costellata di massi e che sembra nascondere un piccolo paradiso per il boulder. Un raggio di sole scongela le nostre sinapsi e il Walter si ricorda del suggerimento del Tommy: “potremmo scendere dalla val Cassinello; solo che dovremmo ripellare per poco più di 100 metri”. Ci penso un po’: perché no? In fondo una risalita ci può stare e poi cosa sono 100 metri? Un nonnulla, una goccia nel mare. A volte però la goccia è quella che fa traboccare il vaso: non mi viene in mente e acconsento all’idea anche perché il ritorno dalla valle dei blocchi si prospetta come una racchettata senza fine. Al momento ci godiamo il secondo raggio di sole davanti la capanna mentre il pendio che sale alla vetta giace illibato: al rientro ci penseremo poi. Un occhio alla carta e uno al terreno e poi parto tagliando il pendio. La soluzione non sembra un’idea geniale ma oramai ci sono dentro: mi sincero che il Walter mi veda e poi inizio a tracciare. Ancora una volta le paturnie sono ben superiori alla realtà e io mi ritrovo sano e salvo nel circo finale del Cristallina. Aspetto il Walter e poi attacchiamo l’ultimo pendio: di neve ce n’è in giro poca ma i cazzi (anche se, a dire il vero, piccoli) quelli no, sempre presenti perché altrimenti non sarebbe Caianesimo. Scelgo di traversare alla cresta finale e da qui salire in vetta ma la neve non è particolarmente collaborante passando da una crosta a tratti sfondosa ad altri in cui sembra di stare su una tavola di marmo. Levo gli sci, me li carico in spalla e poi provo a non sprofondare nella polvere inconsistente saltando da un masso all’altro fino alla croce di vetta: o ho perso le mie abilità caiane o, forse, ultimamente le condizioni non sono mai le migliori e così finisce che si fatica sempre più del dovuto. Ci godiamo l’ultimo raggio di sole (e siamo a tre) benvoluto (dei successivi avremmo volentieri fatto a meno) e ci buttiamo giù per la discesa intonsa. Alla capanna c’è la ripellata, i famosi 100 metri abbondanti ma poi ci aspetta ancora la discesa e, allora, tanto vale sorbirsi questa menata e poi tuffarsi verso la vallata principale. Altra sequenza di curve su neve un po’ tritata ma comunque divertente, qualche ulteriore grattata con annessa imprecazione e poi mi viene voglia di fare lo spiritoso: “uè Walter non è che dobbiamo mica ripellare ancora?” e intanto indico la traccia sotto i fari del sole che risale il pendio che abbiamo poco avanti. “No… non credo… o almeno, non mi risulta…”. A questo punto un ulteriore risalita potrebbe essere troppo: diamo un occhio alla carta perché in teoria la gita la si pianifica attentamente a casa ma in realtà se se ne ha, ci si può permettere anche qualche divagazione. Appunto, se se ne ha! E la carta è spietata: a spanne sono altri 150m positivi. L’alternativa è tornare indietro ma poi c’è il piano della zona boulder; oppure si può sperare nella possibilità di continuare a scendere ma le tracce convergono tutte sulla risalita e, a questo punto, forse è meglio non rischiare. Ricambiamo assetto (mi viene in mente il sentiero Roma) e siamo ancora dietro a faticare sulla traccia a zig-zag con una mia pelle che sta lì per miracolo. Poi è nuovamente discesa, questa volta meno appagante: le gambe iniziano a farsi sentire, belle legnose e rigide come baccalà. E in queste condizioni la neve diventa sempre più brutta mentre la mia posizione sembra sempre più quella del bagnante sulla sdraio: la classica situazione in cui la discesa diventa un calvario cui farei volentieri a meno. Poi raggiungiamo la mulattiera battuta e qui inizia il festival dello spazzaneve coi quadricipiti che bruciano e gemono come le gambe di una sedia decrepita finchè torniamo alla strada asfaltata e quindi al parcheggio.


Cavallo Goloso


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